Se vi chiedessero com'è l'ultimo film di Crialese, Terraferma, anche se non l'aveste ancora visto, voi rispondete sicuri e precisi: una merda. Fidatevi. Non c'è altro da aggiungere.
Se invece mi chiedessero com'è il primo lungometraggio di Nicolas Provost, The Invader, con parecchio dispiacere dovrei rispondere pure io, una merda. La dimostrazione che quando hai talento visivo, ma sei solo un nerd diventato improvvisamente figo, non c'è niente che tu possa fare per diventare un bravo regista. E anche qui, purtroppo, non c'è altro da aggiungere.
Se poi, ancora, mi chiedesserro com'è Dark Horse di Todd Solondz, dovrei tornare a dire - a proposito di un film di Solondz - bello, riuscito e doloroso. Tutto ciò che insomma è sempre stato il miglior cinema di questo regista glaciale e al tempo stesso empatico, capace di distruggere un personaggio nato perdente, ma di regalargli la compassione di un amore nascosto e così dello spettatore, perso in un universo di sogni accavallati l'uno all'altro. Come già in Life During Wartime, Solondz usa il digitale e lo fa in modo originale, adattando la superficie levigata delle immagini (una patina biancastra che toglie spessore ai corpi) all'iperrealismo del racconto. Il risultato è un film che ricorda una graphic novel, che del fumetto riprende la fissata del quadro, il ritorno di immagini fisse e la leggerezza abbagliante di un classico pessimismo cosmico da letteratura americana d'ispirazione ebraica. La vita vera è una fregatura, dice Solondz, ovunque ti giri c'è qualcuno pronto a fregarti o a sbagliare qualcosa che ti riguarda.Ma pure le storie che la raccontano lo sono: per cui non bisogna credere al cinema e mettere continuamente in discussione la sua presunta vocazione realistica o umanista. I sogni servono a questo: più che a fuggire dalla realtà, a prendersi una tregua da essa.