Una delle prime caratteristiche che ho notato nell’albo “Se vuoi vedere una balena” di Julie Fogliano ed Erin. E. Stead – edito da Babalibri – è stata indubbiamente la poeticità.
Subito dopo averlo descritto come poetico, però, ho sentito il bisogno di approfondire una definizione che di per sé potrebbe risultare scontata e semplicistica, e pertanto priva di senso.
Quest’opera – lieve, delicatissima, eppure allo stesso tempo rallegrata da un’ironia sorridente e gentile- è poetica perché sa elargire, con poche e semplici pennellate, suggestioni capaci di toccare nel profondo e di emozionare.
E’ poetica perché, con una chiave originale e insolita, seguendo un canovaccio che è un po’ bislacco e un po’ surreale, arriva a parlare all’intimità e allo spirito bambino ed è capace, parimenti, di incantare anche un adulto.
E’ poetica perché mentre ti esorta “guarda là” ti vuole, dolcemente, suggerire di muovere lo sguardo anche un poco dall’altra parte. E’ poetica perché non è evidente ma, nella sua non evidenza, è chiarissima e limpida.
Ancora, è poetica perché racconta della meraviglia del mondo pur non parlando affatto del mondo, della fantasia pur non citandola mai. Perché quando si sarà terminata la lettura si avrà voglia di ricominciarla sentendo vivamente c’è qualcosa che si è catturato con l’emozione e non con la ragione.
Come in un altro albo delle stesse autrici – medesima leggerezza e grazia – anche qui i protagonisti sono bambini e animali, per la precisione un bimbo accompagnato da un cane.
Ragazzino e amico a quattro zampe si muovono in uno scenario naturale nel quale non compare alcun adulto, come a segnare – altri grandi autori lo fanno, mi viene in mente, un nome per tutti, Ole Konnecke – che ci si trova in un universo non solo fisico (spazio-tempo) ma anche esistenziale (della mente e del cuore): il mondo infantile.
Ciò che viene narrato quindi non è soltanto una storia , cioè un insieme di fatti e vicende, ma un flusso emotivo e immaginifico che abbandona il senso di realtà per entrare nel territorio potente e ricco della fantasia.
Il libro si presenta come un compendio di indicazioni e suggerimenti, alcuni dei quali buffi e spassosi, utili al fine di avvistare una balena.
Argomento gustoso: la balena è sì l’animale grande per eccellenza, ma, allo stesso tempo, è anche una bestia esotica, lontana dalla vita di tutti i giorni, dalle nostre latitudini e – insomma! – è certo che non ci si trovi davanti ad una balena quotidianamente.
Quindi la delizia della questione – così insolita – subito riporta il lettore ad un modus pensandi tipico dell’infanzia, l’età in cui non esiste la discriminazione di un’idea in base alla fattibilità o alla verosimiglianza ma, solo, in base a quanto questa sia allettante ed emozionante.
E’ probabile che già alla prima pagina dell’albo un lettore adulto sorriderà, mentre un bambino spalancherà gli occhi incuriosito.
Un altro aspetto che salta all’occhio – e che già mi aveva colpita ed avevo evidenziato a proposito del precedente lavoro delle autrici – è l’elogio dell’attesa, della pazienza.
“Se vuoi vedere una balena ti servirà…del tempo per aspettare, e del tempo per guardare, e del tempo per pensare se <<quella è una balena?>>…”
Ecco quindi che, pregiatamene, si cerca di tirare fuori il bambino dalla logica della frenesia, della fretta, dei mille impegni da programmare e da inseguire.
Per imbattersi – magia! – in una bestia così straordinaria bisognerà fermarsi ed aspettare, osservare e porsi domande. Imparare ad accettare lo spazio apparentemente vuoto entro il quale far fiorire un’impresa, un’idea.
Questo regala un senso alla frase, che spesso noi grandi ripetiamo, “lasciamo che i bambini si annoino”.
Perché augurare ai bambini di annoiarsi quando la noia, di solito, è classificata come momento apatico, vuoto, sofferente? Semplice: perché la noia dell’infanzia è una noia fruttifera, è un momento fertile per la fantasia, è un campo entro cui seminare immaginazione. Per arrivare poi a fare cose grandi, come ad esempio vedere una balena.
Deliziosa è la serie di consigli su cosa evitare per avvistare il mastodontico animale.
Oltre, ovviamente, a munirsi di un punto di osservazione privilegiato su un oceano, sarà necessario non stare troppo comodi. Perché è facile immaginare che, se si siede su una confortevole poltrona, ben scaldati da una morbida coperta, non si riuscirà a mantenere a lungo la vispa attenzione necessaria per non lasciarsi sfuggire la balena.
Sagace è poi l’invito a non lasciarsi distrarre dalle apparenze e dalle somiglianze: tenere uno sguardo attento e acuto, vigile e critico è un altro suggerimento ricco di eco e di sementi importanti.
Ancora, ben vigilare su ciò che può arrivate a distrarre dal nobile scopo dell’avvistamento. Per esempio: le tante le cose belle, apparentemente più semplici da individuare, che ci sono nel mondo.
E qui l’albo gioca sull’ironia il suo messaggio, a mio parere, più sensibile e gioioso. Infatti, mentre elenca con grande convinzione, e anche con le dovute spiegazioni, tutto ciò che è da evitare rigorosamente per non essere distolti, parimenti ne esalta la bellezza e invita, sorridendo e ammiccando, a lasciarsene rapire.
Da cosa? Dalle rose, ad esempio – vanitose e prepotenti nel loro attirare l’attenzione – oppure dalle nuvole – che fascino le forme delle nuvole! – o ancora dalle barche che veleggiano e suggeriscono storie di pirati, o dagli insetti che popolano i prati – così piccini eppure tanto più facili da trovare rispetto alla balena…
Incute tenerezza e allo stesso tempo suscita ammirazione il piccolo protagonista, rossiccio di capelli, mite e vispo allo stesso tempo, che con la sua ostinata e molto seria determinazione procede dritto verso il suo intento avventuroso.
Fin quando non lascia sparire tutto l’intorno e sulla sua barchetta gialla, solo con il fido cane, aspetta e aspetta e aspetta la balena. E il gigante dei mari nel frattempo…
Giusta la chiusa, impressiva e lieta. Perché le grandi imprese infantili, si sa, in un modo o nell’altro vanno sempre a buon fine.
Dotate di grande finezza e garbo, unite ad una rara dolcezza espressiva capace di distendere come di muovere al sorriso, le tavole di Erin Stead sanno indubbiamente parlare dell’infanzia con un rispetto e una grazia che si osservano in pochi illustratori.
Semplici, con tratti che raccontano quasi d’altri tempi, eppure incantevoli. Sono immagini che danno una mano al bimbo e l’altra al mondo naturale accomunandoli in un sentire vicino e armonico.
Figure lietissime che accompagnano il testo e lo incorniciano perfettamente, conferendogli la dimensione più appropriata per diventare poetico e portare oltre chi legge.
(età consigliata: dai quattro anni)
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