La Feltrinelli di Piazza Piemonte è gremita più del solito in occasione dell’incontro con Zerocalcare organizzato per l’uscita di Dodici, l’attesissima ultima fatica del fumettista romano. Come sempre, il giovane autore Michele Rech si trova sin da subito attorniato da folle di ammiratori pronti ad affrontare una fila interminabile per avere il disegno e i famigerati due minuti con il proprio idolo. Roba da fare invidia a Roberto Saviano, a detta dei dipendenti del bookstore, sempre più sorpresi e stupiti dal fenomeno che gli si sta parando innanzi.
E’ spiegando le motivazioni che lo hanno spinto a scegliere come tema l’invasione zombie che inizia la breve intervista antecedente la seconda sessione di autografi e sketch. E’ una scelta, la sua, fortemente voluta e derivata dal bisogno di scrivere e disegnare un’avventura sull’argomento, che lo appassiona fortemente, prima di mettersi al lavoro sul nuovo libro, definito un progetto molto complicato. Nulla a che vedere con l’avvento di Walking dead e il boom commerciale che ne è derivato, ci tiene a precisare.
E’ così, che nasce Dodici: dalla necessità dell’autore di cimentarsi nella produzione di un libro divertente da concepire, scritto “di pancia” e di rapida costruzione narrativa. Un libro diviso in molteplici passaggi temporali, ideati in maniera naturale. Un libro frammentato tra passato e presente, tra colore e toni di grigio e di rosso. Un libro d’azione. La prima storia svincolata dal suo sentito, dando sfogo alla fantasia, al contrario dei libri precedenti, più intimi e, per certi versi, catartici. La storia più semplice e veloce da scrivere, “anche perché ha meno pagine!”, dice lui scherzando, ideata e disegnata di getto l’estate scorsa.
http://www.lospaziobianco.it/wp-content/uploads/2013/10/zerocalc_slide.jpgE’ buffo e autoironico l’artista romano: si diverte a ricordare (anche all’interno del suo libro) di come Peppa Pig gli abbia “fatto il culo” su Amazon e ribadisce l’incapacità di ritrarre i suoi fan (anche se poi promette per l’occasione ritratti zombie). Proprio quando il clima si rilassa e le risate si smorzano, si introduce lo scenario, lo spaccato suburbano in cui si svolge ”l’horror story”, il quartiere romano di Rebibbia, la casa di Zerocalcare, luogo lento come le località di mare, etichettato a bronx per la presenza della prigione omonima .
E dal quartiere natio alla famiglia e alle sue origini il passo è breve e Michele si ritrova a raccontare di come il suo nucleo familiare sia “normale” e di come il suo vissuto sia correlato alla realtà di riferimento degli spazi occupati con amici che fanno gruppo a parte e che in giacca e cravatta sembrerebbero inadeguati, gente pronta per il processo. Amici come “il Cinghiale”, la cui origine segreta è narrata proprio nella sua ultima fatica.
Quando gli viene chiesto il segreto del suo successo, in rapporto ad una metodologia narrativa quasi d’antagonista, risponde svincolando la domanda e descrivendo il bisogno di narrare da una parte il suo ambiente e il contesto centri sociali dall’altro i fatti quotidiani, per evitare la schizofrenia, la paranoia di cui parla spesso e che combatte separando nettamente le due tematiche da lui trattate.
Ma le notizie più interessanti arrivano sul finale e, grazie alle domande poste dal pubblico, veniamo a conoscenza dell’argomento del volume in corso d’opera che è incentrato sulla storia di parte della sua famiglia e tratta quindi di una sfera molto privata e personale dell’autore. Il percorso di scrittura, in antitesi a quello rapido e indolore di Dodici, appare ancora molto lento, in primo luogo per la mediazione interposta con se stesso e con la famiglia, mediazione che gli permetterà di capire cosa inserire e cosa meno nel suo lavoro.
Ci viene però rivelato che il libro, una vera e propria sfida, per cui le opere precedenti vengono definite solo palestra in attesa di questo volume definitivo, di questo racconto intimo, è anche un modo per Zerocalcare di chiedere perdono alla nonna, di cui non ha ascoltato i consigli e con cui non ha potuto scusarsi. Sulla scarsa politicizzazione dei suoi fumetti asserisce invece che questi ultimi sono una sorta di parto collettivo, la rappresentanza di un’assemblea, di un collettivo, motivo per cui non si accollerebbe mai la responsabilità di esprimere un opinione sua ben precisa e individuale.
Poi, con l’aneddoto del “signor Panatta”, tutto ritorna a confondersi nelle risa generali e nei meandri più o meno contorti delle file. E Zerocalcare è ancora una volta di tutti. E i supporter sono ancora qua tutti insieme appassionatamente per lui.
Riferimenti:
www.zerocalcare.it
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