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Cronistoria: in questa landa desolata il gruppo di soldati comandati dal biondo Severus passa le giornate a inscenare battaglie, rincorrere porcellini e curare il proprio corpo. Intanto il capitano si infatua di Sebastiane che però non si vuole concedere.
Debutto datato 1976 di Derek Jarman, outsider del cinema inglese che forse conoscerete per il suo film testamento Blue (1993), una schermata blu, musica, e una voce, la sua: l’unica cosa che l’Aids non gli aveva tolto. Gay dichiarato in una forma di outing dai contorni artistici, in questo film le presenze femminili sono ridotte al baccanale iniziale, fastosità lussuriosa pagana dove non c’è posto per la religione. Cambio scena e ci ritroviamo nelle aride terre di un’isola tutta arbusti e dune (nei fatti è la Sardegna, selvaggia, rocciosa, una meraviglia) dove gli uomini vivono un paradiso infernale di noia e attrazione più o meno velata.
Jarman si disinteressa della storicità e dell’attinenza ai fatti che ricalca per sommi capi, il suo volere è quello di destabilizzare. Prima di tutto l’udito con una recitazione totalmente in latino, successivamente l’occhio tramite l’esibizione continua di glutei marmorei e addominali scolpiti, per giungere infine all’obiettivo principe correlato all’epoca in cui il film uscì, quello di svestire il perbenismo della società del tempo in un processo di critica alla contemporaneità attuata grazie ad una rivisitazione a-storica della biografia di San Sebastiano.
L’intento concettuale è lodevole, quello più pragmatico vede invece una pellicola che davvero non ha la forza per raccontare qualcosa di interessante. Il girare a vuoto dei soldati è un parallelo azzeccato della vicenda in sé. La scrittura è volutamente assente per essere sovrastata dai parossistici rallenti che toccano (forse anche qui volutamente) punte di ingenuità: il soldato sotto la doccia, altri due che amoreggiano in un laghetto. Fino al martirio conclusivo in qui lo slow motion ha un suo senso d’essere poiché si pone in antitesi alla sinuosità dei corpi precedentemente ripresi, poi una soggettiva grandangolare focalmente deformata e titoli di coda su sfondo blu (!).
Non un esempio di cinema di cui andare orgogliosi, piuttosto un cinema dell’orgoglio.
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