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Sebastiano Aglieco - Compitu re vivi

Da Mauro54
Sebastiano Aglieco - Compitu re vivi


SEBASTIANO AGLIECO – COMPITU RE VIVI – IL PONTE DEL SALE 2013

Dall’origine del buio e del sangue verso l’attesa della luce e della parola da accogliere e da donare, come un compito segnato dal destino. E’ questa l’offerta sacrificale a cui è chiamato il poeta e a cui Sebastiano Aglieco risponde col suo ultimo libro, facendola propria, dentro e mediante una parola che incarna dolore e domanda, obbedienza e ascolto, nella consapevolezza di una condivisione necessaria, di una spoliazione che non è oblio ma riconoscimento di sé nell’Altro, della propria storia intesa nella sua essenza e nella sua autenticità, cioè come cammino e incontro. Con questo suo Compitu re vivi, Aglieco ci consegna un’opera che cerca e chiede verità, a partire da un’infanzia spaventata e solitaria, tra ricordo e visione, estraneità ed appartenenza. E l’uso del dialetto ha qui la capacità fortissima – tragica ma anche malinconica, arcaica ma anche viva e palpitante – di raggrumare il tempo e l’esistenza, in un ritorno che è ricerca d’identità e di terra, di parola e di sangue. Tutti i versi di Aglieco sono attraversati da una necessità che è legame con l’origine, con la sua forza oscura da avvicinare e comprendere, come una domanda da rivolgere al proprio oracolo antico e segreto, per cercare infine una rinascita, avere finalmente la Parola, intraprendere un cammino. Ecco allora una Sicilia non indulgente, atavica, che battezza, fra terra e mare, vicoli oscuri, tetti scoperchiati dal vento, paure, pensieri nascosti, colpe senza nome. E soprattutto la solitudine di chi guarda verso una comunità che sembra maledetta, assediata da una natura arida e violenta, e verso i propri legami familiari, come a conoscere quel sangue che sappiamo, ma che continua a scorrere inquieto dentro le vene. Nulla qui è rassicurante ed il bambino-poeta appare smarrito, alla ricerca di sé e della propria voce, del “nome per nominare il padre” e andare nel mondo, perché “non si può parlare senza un padre”. E certo il mondo aspetta, il mondo è lì: “un bordello, un letamaio” che fa paura, come quell’animale visto o immaginato una volta a Floridia: “una bestia feroce respirava/sopra l’angolo a sinistra dell’armadio”. 
Ma la voce verrà e sarà potente, prenderà il bambino e sarà fuoco, la prima consonante, “Eff come fuoco/come padre e madre”, e veloce come il vento. 
E in questo itinerario di consapevolezza e di crescita interiore, un momento importante è rappresentato dalla trasfigurazione della figura materna nella Madonna del Carmelo, da quel piccolo letto d’ospedale dove si è consumato il dolore e che accoglie parole ultime ma potenti: “Prenditi tutte le mie parole, la poesia/atterrami, nella custodia del/giorno luminoso, nelle ali spiegate degli/uccelli che non partono più/non muoiono più”. Trova espressione, inizio e compimento qui il senso dell’offerta sacrificale, del dono d’amore proprio della poesia, quell’apertura all’Altro garantita proprio dall’origine e dalla coscienza del dolore.C’è allora nei versi di questo libro così intenso tutta la fatica di un’iniziazione, ma anche lo stupore e la docilità di chi obbedisce, di chi è chiamato ad essere uomo e poeta e ad aprire i propri occhi e le proprie orecchie alla visione e alla parola per apprendere finalmente una lingua da custodire e poi donare, come una melagrana spaccata: “Ho deciso:/aprimi, se vuoi, come/una melagrana, e guardami/tutto è nel petto, qui/che trema della sua gioia/della sua veloce spina”. E’ questa l’unica, vera lezione. Lo sa bene Aglieco, che dedica una sezione del libro - davvero bellissima -  agli alunni che ha dovuto lasciare. Si tratta della condivisione di un’esperienza fondante, che apre al mondo, alla parola e alla verità, quella tra maestro e discepolo, due figure destinate ad altri cammini e ad altri incontri, capaci però di conservare un’eredità intima e segreta, un tesoro da proteggere, un’autenticità da portare agli altri, nonostante il male del mondo: “Andate verso il gesto che vi ha/battezzati, tornate indietro nel/seme, trapassate il mondo/le trame del tempo e del giudizio/e perdonate se vi ho insegnato il perdono/anche quando l’amore era/un frutto marcio”. Quanto rispetto per l’infanzia c’è in questo libro, quanta attenzione per chi si affaccia al mondo ed incontrerà inevitabilmente il dolore, e chiede ascolto e parola. E quanta consapevolezza della sofferenza e della poesia indifesa nelle domande accorate di fronte alle pene e alla morte degli innocenti, “in questo tempo spezzato”, nell’attesa di un’altra luce, o nell’appello ad un Dio custode del mistero della Storia affinché possa rinascere alla parola. Ecco, Sebastiano Aglieco scrive sempre “nella fretta delle ultime parole”, nell’urgenza di una voce che viene da lontano, ma  attraversa il presente, ci trattiene, si ferma qui, lungo il bordo ogni volta ultimo di un dire che si offre e vuole essere consumato, nel nome di una certezza che si rinnova: “ Credo a un quaderno/a un maestro che mostra la gola”.
Mauro Germani

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