Caro amico,
sono terribilmente deluso perché non ho ricevuto alcuna risposta alla mia lettera spedita da Machu Picchu.
Quando eravamo insieme tu mi dicevi tutti i santi giorni:”Ci sarà tanta posta tutta per te” e ora che potresti mandarmela ti chiudi nel silenzio ed io non so cosa ti stia succedendo, a parte le tue mille cose da fare che ti impegnano giorno e notte.
Io, in attesa di partire per altri luoghi meravigliosi, sono ancora qui a Machu Picchu ed un buon motivo è la compagnia della giovane Ansia perché altrimenti questo, dopo il primo stupore, è diventato un posto piuttosto stupido.
Niente terremoti, niente cadute nei burroni, niente apparizioni di selvaggi: niente divertimenti.
Ma c’è stato un diversivo che mi sembra valga la pena di raccontarti.
Devi sapere infatti che la prima visita che ho fatto, accompagnato da Ansia, è stata per il console.
E’ sempre bene presentarsi all’autorità che rappresenta il tuo paese e cercare qualche occasione vantaggiosa: biglietti dell’autobus, cartine della zona, segnalazioni di curiosità turistiche e soprattutto, inviti a cena.
Ma quando sono stato ammesso alla presenza del console, ho visto un uomo distrutto, disteso su di un divano con un fazzoletto bianco sugli occhi rossi.
Mi hanno detto che aveva appena finito un’angosciosa discussione con un professore di filosofia a proposito dell’essere e dell’avere: profondissimo problema universale che genera lunghe ore di ovvi dibattiti e che io ritengo lasci stare le cose come ognuno pensa che debbano essere.
Per rompere il silenzio che era nato al mio arrivo, ho cercato, dopo essermi presentato, di dire qualcosa di diverso per rallegrare l’atmosfera, tipo “a che ora prevedete che ci sia la cena?” e poi, ripensandoci:”ma ci sarà una cena in qualche modo?”
“Non voglio mancarLe di rispetto” mi rispose il console alzando il naso rosso dal fazzoletto.
“Ma Lei non capisce nulla se crede che una volgare cena abbia importanza. Qui si sta discutendo di alta filosofia ed io, contrariamente a questo signore, difendo l’essere. L’esempio che ha dato origine alla disputa è infatti: Io posso AVERE un Consolato (e difatti questo è il mio Consolato) ma non posso ESSERE consolato.”
E così dicendo ricominciò a piangere.
Il filosofo lo guardò con compatimento (che non è compassione) e poi, rivolgendosi a me, disse:”Credo che Lei, da vero uomo di mondo, capisca quanto sia superiore l’avere in confronto dell’essere. Frasi come ‘Ho un conto in banca’ oppure ‘Ho una villa ai Caraibi’ sono senz’altro migliori di ‘Sono un minatore’ oppure ’sono un precario che sta per essere mandato a casa.’ Nel caso particolare del console poi, è infinitamente meglio AVERE il Consolato nel senso di comandare a tutti gli impiegati dispoticamente, piuttosto che ESSERE consolato come un bambino che si è sbucciato un ginocchio. E’ chiaro che la seconda ipotesi è oltremodo infantile.”
Caro amico, tu sai che io dopo un po’ che mi si costringe a riflettere, vengo preso da un atroce mal di testa e quindi speravo con tutto me stesso di potermela svignare rapidamente senza offendere nessuno.
La fortuna, che è spesso mia amica, mi venne incontro perché il filosofo si accomodò a sedere su di una poltrona ed immediatamente, perso nei suoi ragionamenti, si addormentò.
La mia amica Ansia si avvicinò al console e, con fare materno, cominciò a cullarlo con le espressioni graziose che di solito riserva al suo gatto.
Io mi alzai e, in punta di piedi, uscii dal consolato dopo essermi accertato che in nessuna stanza c’erano preparativi per la cena.
Ti saluto
Nuccio Picci
Nicoletta Martiri Lapi