Continua a Lampedusa, ad opera dei sommozzatori, il recupero dei corpi nello scafo affondato giovedì notte nelle acque antistanti l’isola. Sono già più di cento le vittime accertate.
Ha commosso tutta l’Italia l’immagine di quella distesa di bare allineate, dinanzi alle quali troneggiavano quattro bare bianche, piccole, con altrettanti orsetti di peluche sopra.
Niente nomi, solo numeri. Dietro quei numeri storie di vite umane, partite speranzose da chi sa quale spiaggia africana, annegate dinanzi ad una delle spiagge più belle d’Italia, in un mare cristallino, da sogno.
Tutti commossi. Eppure, secondo le leggi del nostro ordinamento, l’Italia quegli africani, clandestini, stranieri, neri, extracomunitari, come vogliamo definirli, li preferisce morti piuttosto che sul nostro territorio.
Si, perché secondo la Corte Suprema di Cassazione (sentenza 7045/2000, sez. I), anche le operazioni immediatamente successive all’arrivo ed allo sbarco degli stranieri, ovvero anche la semplice azione umanitaria di aiutare un naufrago clandestino a raggiungere la riva piuttosto che lasciarlo annegare dinanzi alla costa, costituisce reato di favoreggiamento all’immigrazione clandestina secondo la Legge 189/2002.
E l’obbligo del soccorso in mare?
E la pietas umana?
E la reminiscenza storica di un popolo che nel secolo scorso riempiva piroscafi con i propri figli in cerca di fortuna dall’altra parte dell’oceano?
Il ministro per l’integrazione Cecile Kienge, che ha assistito sul molo insieme al sindaco di Lampedusa alla triste sfilata dei cadaveri trasportati sull’isola, ha promesso di porre immediatamente sul tavolo di lavoro progetti e strumenti per rivedere le norme italiane sulla immigrazione e sul reato di clandestinità.
Ma la questione dei flussi immigratori non può essere più affrontata solo dal nostro Stato.
L’Italia chiede sostegno all’Europa perché le sue coste rappresentano solo l’approdo dal mare verso l’agognata speranza di questi popoli di una vita dignitosa in qualunque paese europeo, lontano dalla miseria e dalla guerra da cui fuggono.
Su quel barcone c’erano oltre 500 persone . Oltre ai cento cadaveri già recuperati ed allineati nell’hangar dell’aeroporto di Lampedusa, altri 200 giacciono ancora nella stiva dello scafo, annegati a poche bracciate dalla realizzazione del sogno.
Ma non dimentichiamo che i 155 superstiti sono già indagati, secondo la Legge Bossi- Fini, per immigrazione clandestina.
E, mentre l’Italia continua a dividersi tra buonismo e commozione, tra polemiche e ammissioni di responsabilità, quelle 155 persone, molto probabilmente, resteranno poco più che numeri, come quelle bare, stipati, a tempo indeterminato, in uno dei centri di accoglienza del Sud Italia, sorti per ospitare temporaneamente 250 persone e trasformati in dormitori a cielo aperto per migliaia di immigrati “forunati”, quelli che, scampati alla morte, dovranno cominciare a sopravvivere in Europa in condizioni vergognose e disumane.
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