Magazine Solidarietà

Secondo tempo

Creato il 26 settembre 2011 da Fernando @fernandomartel2

Secondo tempoIl fischio da bordo campo taglia l’aria umida della mattinata settembrina. Sull’erba del campo della chiesa di Coazze, un milione di perline luccicanti, aggrappate ai fili verdi dell’erba del piccolo campo di calcio,  fanno capire che l’estate é ormai andata, anche se una scia di giornate calde e dolci, stanno accompagnando l’uscita del mese dal calendario del 2011. Tra qualche giorno settembre se ne andrà, con l’odore dei mosti ed il verde delle fronde dei castagneti che cominciano ad arrugginire, alle notti umide della Valsangone, rotto dai laschi tonfi delle castagne che cominciano a cadere. Il fischio dell’allenatore viene colto all’unisono, da tutte le orecchie tese nella silenziosa lunga attesa. Due settimane senza giocare al pallone.  Avevamo deciso di non stare più in questa situazione, ma poi, il rapporto che si è creato con i ragazzi manca anche a noi, l’allenatore si è riempito il cofano di palloni ed ha preso il suo fischietto ed é salito, anche lui su ad aspettare i giovani neri a Sangonetto, tutto come prima.  Sono state due settimane di telefonate in discesa, i ragazzi han consumato le loro schede telefoniche  per chiedere il motivo di quel lungo tempo di intervallo, del perché era stato interrotto quell’unico momento ludico, che aveva permesso loro di poter praticare uno sport, uscire dall’isolamento dei boschi su a Forno, di aver potuto conoscere tanti giovani indigeni, di fare amicizia con tanta gente, di essere ospiti a spaghettopoli di Giaveno e a “gnocchi in piazza” nel San Rocco del Freinetto. Pochi sono stati coloro che si erano accorti quanto fosse importante per loro poter giocare a pallone. Pochi, ancora meno, quelli che si erano impegnati per poterglielo consentire. Strano, invece, l’impegno di alcuni di quelli che avrebbero dovuto farlo, ma non sono riusciti a regalarsi la possibilità di incontrarli e conoscerli, di fare qualcosa per loro che avrebbe, immediatamente, fatto stare meglio anche chi sapeva dare. Giorni di freddo, non tanto nel clima, quanto nel cuore di chi, pavido di fronte a chissà quale rischio personale, aveva stoppato quel pallone per far smettere la partita. Sono stati proprio loro, i ragazzi di borgata Ferria, a riconquistare il pallone per poter rigiocare. Il pallone, il campo e molto altro. Una conquista di dignità e di coscienza. La coscienza di essere persone, stanche di vedere giocare sulla propria pelle, battaglie di altri tese alla conquista( in Libia come dappertutto) di fette di potere e di rappresentatività. Loro hanno deciso di rappresentare se stessi, così come avevano già fatto nell’articolo “La preghiera tra i boschi”. Stanchi di questi giochi sulle loro spalle, si sono riconquistati l’uomo che li allenava ed il suo fischietto, ed ora, appena il fischio aveva segnato la fine della lunga pausa, tutti avevano applaudito e si erano messi a correre nel campo attorno al pallone che sembra coinvolto gioioso in una danza viva e volontaria. E’ iniziato il secondo tempo nel campo. La partita dell’integrazione guidata é ancora tutta da giocare. La Casa dei Popoli continuerà ad impegnarsi e misurarsi su questo campo. Vediamo chi vince la partita….



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