Sei agosto. La festa delle medie

Creato il 09 agosto 2012 da Violentafiducia0

Scendiamo in spiaggia alle cinque del pomeriggio, con un ombrellone a strisce bianche e blu, una playlist che comprende Corona e le Spice Girls, la sacca del mare e due borse frigo piene di acqua coca cola patatine panini al salame e al prosciutto. Sulla carta stagnola ho messo una S e una P con un pennarello blu che mia madre usa per scrivere il mio indirizzo sui pacchi che dalla Sicilia raggiungono il Lazio di solito pieni di libri ma qualche volta pieni anche di confezioni di Simmenthal e brik di latte di mandorla, mamma guarda che i supermercati ci sono anche qua le dico sempre, ma a lei piace infilare il suo amore nel cibo e il cibo nei pacchi e a me piace scartare i pacchi e trovare l’amore di mia madre nel tetra pak vicino a Unità nazionale e sviluppo economico.

La chiave si blocca nel tamburo quando ci fermiamo un attimo (un attimo, doveva essere, un attimo) a comprare l’unico super santos boccheggiante tra palloni delle Winx e di Ben 10. Giovanni scende, paga tre euro, risale, la chiave non gira, Marisa sta zitta, io mi sciolgo, dietro, con Martina e Gaetano che si sciolgono, accanto, e Martina ride mentre Gaetano muore e io sono felice di averli così sudati così spaventati così vicini.

Quando finalmente arriviamo in spiaggia gli altri ci stanno già aspettando, mi fanno gli auguri per la terza quarta quinta volta, dopo avermeli fatti, loro per primi, tra mezzanotte e mezzanotte e dieci al mare, prima dei fuochi d’artificio, con una candelina rosa sopra un gelato al tartufo mentre io stavo sbracata nelle tue braccia, nelle loro braccia a sperare che tutto andasse bene. Ma sotto il sole delle cinque non ci abbracciamo, sistemiamo vicini gli ombrelloni, i teli, le borse e poi per un’ora dimentichiamo il mondo fuori dell’acqua.

Il super santos galleggia
sotto le braccia
io mi appoggio
come il collo di un cane
avrei bisogno di un cane un cuore
volevo dire un pallone
più grande
per farmi trascinare fino al largo
e non sentire più il corpo che tocca.

Mi gridano dai tira, schiacciamo al cinque perché al sette non ci arriviamo. Il pallone finisce più volte nel cerchio molle di alcuni ragazzini, loro sì delle medie, non noi con la media di ventisette a testa. Ce lo restituiscono sempre con gentilezza tra schizzi d’acqua che ci fanno perdere i contorni e alla fine mi rivolgo al più grassoccio tra tutti, gli dico scusami siamo veramente scarsissimi, lui mi sorride pieno di timidezza e io vorrei essere la sua insegnante buona che non lo rimprovera se per una volta non ha studiato.

E poi vorrei almeno
per una volta soltanto
non perdere la fiducia
ma tutti gli anni mi succede
di sostituire alle somme
le differenze
e dirmi
questi li hai persi questi li hai vissuti
questi li vivi ancora e a ogni elenco
è almeno un figlio che non fa più ritorno.


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