Nel 1969 poi, alla Fiat, c’era stato il primo «reintegro di massa». Aveva riguardato tanti attivisti sindacali licenziati prima della firma del nuovo contratto di lavoro. Altri licenziati li aveva rievocati Fioravanti Stell, operaio della Borletti, antica fabbrica milanese. Qui c’era stata una lunga lotta seguita da un accordo. Subito dopo erano scattati i licenziamenti, senza motivazione, per un gruppetto di sei-sette ragazzi dai 16 ai 17 anni che si erano distinti nelle battaglia sindacale. Un altro operaio, Sergio Dellera raccontava altre storie di licenziamenti alla Moto Parilla e alla Om-Fiat. Il rischio, dicevano i miei interlocutori, se venisse intaccato l’articolo 18, è quello di un «contagio», di un assalto a tutti i diritti. Un timore presente anche oggi.
Anche perché in queste ore è in campo una possibilità relativa ai cosiddetti licenziamenti per «motivi economici». Non riferiti a ristrutturazioni o fatti del genere. Ha scritto lucidamente Govanni Principe sul Blog Molise 11: «Forse si dovrebbe chiamare le cose con il loro nome. Penso che si possano riassumere in una locuzione, molto usata ed abusata: scarso rendimento. Qui sta il nodo della vicenda». È un termine, lo scarso rendimento, che si presta a molte interpretazioni. Un conto è «una condotta volutamente negligente» o «una opposizione deliberata e ingiustificata al potere dispositivo (organizzativo) dell’imprenditore». Un conto, invece, se lo scarso rendimento «deriva da motivi oggettivi o trova comunque una giustificazione che non configura alcuna violazione disciplinare». Principe cita i problemi di salute, le condizioni psico-fisiche…
Ecco bisognerebbe evitare l’equazione: sei malato, rendi poco, sei licenziato. Non bisognerebbe ascoltare gli ammonimenti dell’ex ministro Sacconi o di Ludovico Festa riassunti in un titolo su «Il Giornale»: «L’errore del prof: non strappare con la Cgil».