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Sei motivi per ritornare sui propri passi

Creato il 25 ottobre 2015 da Patrickc
Sei motivi per ritornare sui propri passi

Amo i ritorni, li sogno spesso. Ma non mi sono mai chiesto davvero il perché. Ecco qualche buon motivo per tornare negli stessi posti, non solo negli stessi Paesi, quando si viaggia.

Per vedere un luogo occorre rivederlo. Il noto e il familiare, continuamente riscoperti e arricchiti, sono la premessa dell'incontro, della seduzione e dell'avventura; la ventesima o centesima volta in cui si parla con un amico o si fa all'amore con una persona amata sono infinitamente più intense della prima. Ciò vale pure per i luoghi; il viaggio più affascinante è un ritorno, come l'odissea [...] (Claudio Magris, L'infinito viaggiare) In modo compulsivo alcuni ritornano nei posti già visitati, ritrovando abitudini da sedentari nel cuore stesso dell'esperienza nomade: andare cinquanta volte in Vietnam, cento in Giappone, ritornare sempre sugli stessi luoghi, che strana idea! [...] Il valore della geografia del pianeta sta prima di tutto nella diversità, nella differenza, nella molteplicità. (Michel Onfray, Filosofia del viaggio)*

*) è ovvio che non sono proprio d'accordo, ma è un'opinione diffusa

Provo un'intensa tristezza quando lascio un posto sapendo che non ci tornerò mai più, anche se è un albergo un po' scadente o una città che mi ha lasciato indifferente, o mi ha respinto. Mi dà l'idea di una porta che si chiude, di una possibilità che è appassita per sempre. Forse è per questo che spesso immagino di tornare nel luogo che sto lasciando, a costo di illudermi. Ci pensavo anche mentre guidavo sulle strade della Nuova Zelanda appena un mese fa ed era già cominciato il ritorno: provavo a figurarmi come sarei cambiato nell'arco di cinque o dieci anni, l'aspetto che avrei avuto, l'auto che avrei guidato quando sarei tornato. E immaginavo che avrei ricordato come ero in quel momento, proprio quello che stavo vivendo, e al fatto che avrei dovuto percorrere nuovamente questa strada che mi sembrava così lunga. Il problema è che io torno davvero nei luoghi nei quali sono già stato e a volte mi emoziona più che vederli, viverli per la prima volta. Spesso c'è chi mi considera strano, che lo giudica quasi uno spreco di tempo. Forse, semplicemente é così che amo viaggiare: come scrive Magris, anche un luogo noto si può scoprire.

1. Tornare per scoprire un luogo

Per me è un po' come rivedere un film (o rileggere un libro). La prima volta si è attratti dalle grandi emozioni, dalla trama, dai colpi di scena. Quando lo si rivede è come si fosse più attenti ai dettagli: si notano le scelte del regista, si presta più attenzione alle espressioni degli attori, a dialoghi che la prima volta erano scivolati via. E così è quasi inevitabile quando si arriva in una città per la prima volta, farsi sedurre dai luoghi famosi, dai musei. Al ritorno è come se questo ingombro mentale che ti fa sentire in dovere di fare certe cose non ci fosse più. E si notano i dettagli, forse più rivelatori delle grandi opere d'arte, si va fuori dalle strade più battute, ci si può concedere il lusso di perdersi. A me succede tutte le volte che torno a Tokyo, a Londra, a Parigi.

2. Per illudersi di vivere altre vite

Chi non legge a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. (Umberto Eco)

Nella mia Bologna non succede di solito, ma quando sono in viaggio guardo spesso le finestre. Cerco di intravedere un lampadario, una libreria, un quadro che mi parlino delle vite che abitano quei luoghi. Ecco, quando torni a Tokyo e hai il tuo caffè preferito, la tua fermata della metro, un posto che ti fa sentire a casa, per un attimo ti illudi di essere una delle milioni di vite che popolano la città. E senza il peso di viverci davvero. È piacevole, ma alle volte può fare paura. A Tokyo, o Kyoto, hai quasi la percezione che in quei momenti in cui sei in mezzo alla folla su una scala mobile potresti essere una delle persone che ti circondano, potresti finire assorbito, fino a sparire. A volte, quando si viaggia in Giappone c'è un momento in cui due treni si affiancano, quasi alla stessa velocità, e puoi vedere le persone nel treno accanto come se fossero immobili. Ci si sfiora, quasi, solo per un momento. Incrocio lo sguardo di un impiegato o uno studente e mi sembra di guardarmi allo specchio: potrei essere lui. Mi dà i brividi, ma è anche emozionante. Viaggiare, insomma, è come leggere un romanzo, vivere possibilità alternative.

3. Per capire un luogo

Nemmeno chi abita un luogo, un Paese, può dire di capirlo, spesso. Figuriamoci un viaggiatore rimasto 14 o 20 giorni. Mi fa sorridere sentir dire che per un Paese "due settimane bastano": possono essere sufficienti per un viaggio, ma di certo non bastano. Non è abbastanza una vita per un Paese, ne sono consapevole. Eppure certi viaggi mi tormentano al ritorno, perché ho l'impressione che mi manchi qualcosa, un pezzo del puzzle. Ho l'idea di aver sprecato il mio tempo o che avrei potuto impiegarlo meglio. Oppure, semplicemente, ne voglio di più: in Giappone sono tornato per questo, la prima volta, dopo soli sei mesi. E per questo vorrei rivedere l'India. Ho lasciato il Laos quando appena mi sembrava di iniziare a capirlo e vorrei tornarci.

4. Tornare perché ti fa stare bene

Certi Paesi sono in sintonia con noi, ci sentiamo finalmente a casa, al ritmo giusto. In certi altri semplicemente si sta bene, lo ammetto: ti inondano di bellezza, ti emozionano, oppure semplicemente ti fanno sentire benvenuto e ti riservano piaceri che hai imparato a conoscere e ad amare. Io torno in Grecia perché è un luogo col quale provo un legame profondo che sta diventando sempre più forte. Ma torno anche per il mare, per i sapori, per il clima. E quando sono lontano dal Giappone mi mancano il suo cibo, le sue terme, il semplice piacere di dormire sul tatami.

5. Per condividere il viaggio

Io amo viaggiare da solo. Non dico che sia meglio, ma è un'esperienza unica, speciale, intensamente differente. Quando sei da solo non hai filtri, non hai sicurezze, non ti porti dietro nulla. Allo stesso tempo vivi più profondamente il Paese nel quale sei immerso, e sei più solo: è un viaggio in se stessi, anche, e il più profondo. Però a un'esperienza così ricca come il viaggio in solitaria manca qualcosa, la condivisione. Non voglio che resti un mio segreto, questa emozione che ho provato. Nei luoghi che ho amato voglio tornare con la persona che amo. Ecco perché vorrei tornare in Norvegia o in Islanda, per esempio.

6. Perché i luoghi cambiano

A pensarci bene potrebbe essere anche un motivo per non tornare. C'è paura di restare delusi. È come custodire i ricordi, che tra l'altro più passa il tempo più vengono depurati dalle cose di poco conto o brutte, diventano tesori che scintillano nella memoria. Verrebbe voglia di non toccarli. Nei ricordi dei miei genitori Santorini è ancora l'isola rustica e semplice in cui si conobbero negli anni Settanta. Però non è sempre così. Io viaggio anche per capire, perché sono curioso e immaginare i luoghi cristallizzati nel tempo è anche falso e inutile. E poi cambiano anche le condizioni: a volte a farci amare o detestare un luogo è un incontro casuale, la differenza fra una giornata di sole o di pioggia. Il posto che abbiamo detestato potremmo amarlo al nostro ritorno, in una stagione diversa. Ma attenzione, non aspettiamoci che il caso ci aiuti nuovamente: potremmo anche cambiare idea su un luogo che abbiamo amato. Ma è un rischio che, viaggiando, voglio correre.

Per approfondire

E voi cosa ne pensate? Vi piace tornare o no? Quali sono le vostre motivazioni? Scrivetelo nei commenti!

Sei motivi per ritornare sui propri passiPatrick Colgan, sono giornalista e blogger, vivo a Bologna. ( chi sono) Uso delle foto: tutte le foto scattate da me e pubblicate su Orizzonti hanno la licenza creative commons attribuzione-non commerciale. Potete usare e distribuire le foto per scopi non commerciali, ma vanno attribuite a me, includendo il mio nome e un link funzionante al blog e la medesima licenza creative commons. Per scopi commerciali siete pregati di contattarmi
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