Pacato ed energico al tempo stesso, don Isidro Parodi prepara un mate in un piccolo bricco celeste all’interno della cella 273 del Penitenziario Nazionale. Lo offre a Molinari che non vede l’ora di raccontargli dall’inizio l’avventura che gli ha sconvolto la vita, ma sa che è inutile mettere fretta a don Isidro Parodi. Molinari allora comincia a parlare delle corse dei cavalli, che sono tutte un imbroglio e nessuno può dire chi vincerà. Don Isidro non lo bada e ricomincia a parlar male degli italiani, che si sono infilati dappertutto, senza rispetto nemmeno per il Penitenziario Nazionale.
Anche Molinari dice di essere ormai stufo degli italiani e dei drusi, per non parlare dei capitalisti inglesi che hanno riempito il paese di ferrovie e di frigoriferi. Proprio ieri è entrato nella Gran Pizzeria Los Hinchas e la prima cosa che ha visto è stato un italiano.
Molinari guarda attonito don Isidro Parodi e si ricorda che il suo nome è stato collegato al mistero della villa di Abenjaldún da un giornale privo di scrupoli. Si ricorda che don Isidro, grazie alla sua astuzia e alla generosa distrazione del vicecommissario Grondona, sottopone a lucido esame i diversi giornali della sera. In effetti, don Isidro non si è perso la notizia della recente scomparsa di Abenjaldún e chiede a Molinari di raccontargli i fatti, ma evitando di parlare troppo velocemente, perché ormai è un po’ duro d’orecchi. Molinari può raccontare allora la sua storia…
Sei problemi per don Isidro Parodi è stato relegato alla categoria di opera minore per entrambi gli autori, ma malgrado ciò è un’opera spiritosa e arguta in cui coabitano gioco d’ingegno letterario e raffinatezza dell’intelletto, intrigo poliziesco e divertissement.
A raccontare le strampalate vicissitudini di don Isidro è il dottor Honorio Bustos Domecq, un poligrafo che non esiste e che può scrivere solo grazie alla complicità di Borges e Bioy Casares.
Umorismo caustico di qualità da non sottovalutare.
Jorge Luis Borges, Adolfo Bioy Casares
Sei problemi per don Isidro Parodi
(traduzione di Lucia Lorenzini)
Adelphi
2012