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sei risposte

Creato il 18 settembre 2015 da Gaia

Rispondo con questo post all’articolo di Internazionale linkato da Marta, che contiene alcuni dati sull’immigrazione. Anch’io fornisco spesso dati, sparsi tra i vari post che ho dedicato all’argomento, solo che i dati come ben si sa dicono tanto quanto omettono e vanno interpretati con attenzione. Io ritengo che l’articolo di Internazionale presenti dati non falsi ma incompleti, e che li utilizzi a servizio di una visione che è diversa dalla mia. Bisogna ricordarsi che in qualsiasi dibattito non ci sono solo i dati ma anche le questioni di principio, in cui non è importante tanto il numero in sè quanto l’idea, cioè se si è favorevoli o meno a una determinata cosa. Per sapere se una tale politica funziona o no non basta sapere qual è il risultato, anche se aiuta: bisogna prima discutere su quale risultato sia più desiderabile e perché. Io non sono contraria alla migrazione in sè, ma in anni di osservazione e indagine personale mi sono resa conto che la migrazione di massa in un mondo come il nostro (e, in realtà, per la quasi totalità della storia umana) è un fenomeno violento e devastante, anche se chi vive delle sue conseguenze non sempre se ne rende conto – quanti americani che inneggiano alla loro patria si rendono conto che è fondata su un genocidio?

Tornando, comunque, all’articolo di Internazionale, ecco le mie risposte, con dati, perché non mi si rimproveri di non usarli. Comincio sottolineando che c’è ormai un’abitudine mediatica (non solo qui: Radio 3 è ancora peggio, per dirne una) a trattare chi si oppone all’accettazione delle migrazioni di massa come un razzista, un senza cuore o un ignorante. I dati di Internazionale vengono presentati non come spunti in un dibattito complesso, ma come utili a “smontare i luoghi comuni”. Chi cioè dice certe cose dice solo banalità disinformate: adesso ci pensiamo noi e li mettiamo a posto – questo sembra essere il messaggio. In realtà anche questi sei grafici confermano a loro volta altri luoghi comuni, che anzi mi sembrano preponderanti nel dibattito pubblico rispetto alla visione contrapposta.

1. Come dice Mauro, questo ipotetico 5% si sommerebbe ai migranti già presenti in Europa, che sono attorno al 10-15% della popolazione. Dipende dai paesi: in Italia gli stranieri residenti, escludendo cioè i clandestini (e, credo, i richiedenti asilo) e gli stranieri già cittadini italiani, sono cinque milioni. Inoltre, molti dei migranti provengono da paesi ad alta o altissima natalità; le donne straniere fanno in media un figlio in più a testa delle italiane. Questo non per dire che ci sia qualcosa di male se nascono bambini stranieri (il 15% delle nascite già adesso), ma che nel contare i flussi bisogna considerare anche la fertilità delle persone che arrivano e che conseguenze demografiche, sociali e culturali questo può avere. Inoltre, se già Siria ed Eritrea da sole corrisponderebbero al 5% della popolazione europea, che dire di Pakistan e Afghanistan, da cui già provengono profughi, e Libia e Iraq, in guerra come la Siria, per non parlare dell’Africa sub-Sahariana? Sono centinaia di milioni di persone. Il fatto inoltre che la natalità in questi paesi resti altissima significa che la produzione di potenziali profughi non si arresterà in tempi brevi. Intervenire sulla natalità sarebbe un buon inizio, ma non tutte le società percepiscono il problema in questi termini, anzi.

Senza contare che i migranti si concentrano in alcune aree, come le grandi città e le zone più ricche, per cui i dati che ci dicono che la media di stranieri è tot non ci danno informazioni su questa concentrazione e sulle conseguenze che può avere.

2. Come ammesso nell’articolo, il maggiore contributo allo stato sociale deriva dal fatto che gli stranieri per ora non riscuotono molte pensioni: ma cosa succederà quando lo faranno? È come dire che la Catena di Sant’Antonio sta funzionando perché abbiamo trovato ancora qualche pollo che abbocca: il crollo non potrà che essere ancora più doloroso. Ci sono altre due cose da dire: una è che i richiedenti asilo non possono lavorare, e quindi per ora costano e basta; leggevo sul Messaggero Veneto che il comune di Tarvisio è al collasso per tutti i minori stranieri che deve ospitare, dato che i minori devono essere più seguiti e costano di più dei maggiorenni. L’altra cosa, assolutamente fondamentale, è che non si può valutare l’impatto solo in termini di previdenza. Più gente c’è, più infrastrutture bisogna costruire, più terreno fertile si deve cementificare, più si inquina, più l’acqua pro capite scarsegia, più gli ecosistemi si degradano… è molto difficile quantificare costi come questi, ma sono quelli di cui più dobbiamo preoccuparci.

3. Qui il punto non è solo la disoccupazione, ma il genere di occupazione. È ovvio che la disponibilità di persone disposte a lavorare a qualsiasi condizione ha un effetto deprimente sulla qualità del lavoro (sicurezza, possibilità di scelta) e sui salari. Per la legge della domanda e dell’offerta, non c’è niente di più vantaggioso per i lavoratori della scarsità di manodopera e abbondanza di offerte di lavoro. Quando c’è poco lavoro e molta gente disposta a farlo, soprattutto per quanto riguarda lavori cosiddetti poco qualificati, è chiaro che sono i datori di lavoro a dettare le condizioni.

I lavoratori d’Europa se ne sono accorti, e iniziano a votare inquietanti partiti di destra; quella che non se n’è accorta, paradossalmente ma forse non tanto, è la sinistra.

4. Come ho già detto, bisogna aspettare che i lavoratori migranti inizino a riscuotere le pensioni (se ci saranno ancora) e ad invecchiare, e conteggiare tutta la spesa pubblica che non è sanitaria, scolastica e previdenziale. Un’altra cosa va ricordata: l’economia europea non crescerà per sempre. Siamo in crisi da anni, la situazione è drammatica per molti europei, e non è per niente chiaro dove mai andranno a lavorare tutti questi profughi quando le loro domande saranno state accolte. Una delle cose più pericolose che si possono fare quando si prendono delle decisioni è pensare che le tendenze del passato continueranno all’infinito. La crisi economica ha radici ambientali e petrolifere, ed è certo che non si tornerà come prima. Se l’economia rimarrà in crisi e la disoccupazione resterà alta, chi assumerà tutte queste persone in più? E come faranno a pagare le tasse se non lavoreranno neanche loro? Anche qui, mi sembra che il “popolo”, nel temere l’invasione, si stia rivelando più lungimirante dei suoi capi.

5. Bisogna vedere cosa succederà al Libano fra un po’: non conosco bene la storia del paese, ma mi pare assodato che la presenza in Libano di moltissimi profughi palestinesi permanenti abbia avuto un ruolo importante nei conflitti civili che ci sono stati. La Turchia è sulla soglia di una guerra civile, e molti curdi scappano anche da lì, come abbiamo visto. Inoltre, non tutti i profughi hanno lo stesso effetto dappertutto. Dopo la seconda guerra mondiale, l’Italia accolse gran parte dei profughi istriani e dalmati. Non fu indolore, ma il fatto che si trattasse di persone con la stessa lingua, la stessa religione e lo stesso aspetto (sì, c’entra anche questo) probabilmente ne facilitò l’integrazione. Un arabo in un paese arabo confinante e un arabo in Europa non hanno lo stesso impatto socioculturale, non per razzismo ma perché la storia condiziona come le persone si comportano, e così fanno anche le differenze di lingua e di religione, oltre alla riconoscibilità dei gruppi e alla loro tendenza ad amalgamarsi o meno. Non voglio dire che la diversità vada eliminata anziché gestita, ma bisogna pensare anche che non tutti i fenomeni sono controllabili e che l’influsso in tempi brevi di moltissime persone percepite come “diverse” potrebbe avere conseguenze imprevedibili. L’Europa sta già facendo i conti con il fondamentalismo islamico sul suo territorio. Inoltre, una comunità può dare molto valore alla propria identità culturale, linguistica, persino etnica, e quindi può voler limitare i flussi e tenerli bassi – il Giappone e la Corea del Sud, ad esempio, ci tengono tantissimo alla propria omogeneità, e non penso che li si possa condannare per questo. Si tratta di scelte.

6. Questo conferma la mia convinzione che la migrazione venga usata per giustificare la crescita illimitata dell’economia e della popolazione, e per questo viene sostenuta da gran parte dei partiti politici, dei media e delle elite economiche. A farne le spese, ripeto, sono l’ambiente e le classi più basse, quelle che poi vengono accusate di razzismo quando provano a difendersi.


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