Cinema, primo spettacolo. Nella sala piena rimbombavano le risate. Gli attori, gli sceneggiatori e il regista erano al minimo sindacale, ma non importava. Il pubblico apprezzava lo stesso, anzi sembrava felice di masticare per la milionesima volta l'ennesimo eterno ragazzo che tradisce la sua futura moglie, l'ennesimo settantenne che si innamora della figlia del suo migliore amico, serviti così, senza un sussulto, un qualcosa che valesse la pena ricordare per almeno qualche secondo dopo la fine. La gente masticava popcorn, sorseggiava bibite gassate e sprecava risate in gran quantità. Ma quando apparvero i titoli di coda e gli spettatori iniziarono a defluire, qualcuno non si alzò. Una decina di persone stava riversa nel sedile, con gli occhi sbarrati e le briciole di mais saltato sul mento. In seguito un giornalista in vena di battute disse che probabilmente era stata la noia ad ucciderli, senza rendersi conto di non essere così lontano dalla verità.
Nel bar di fronte al cinema un gruppo di amici stava chiacchierando. Voci e argomenti si mescolavano senza soluzione di continuità, in un flusso di parole libero e spensierato. Nessuno teneva banco, nessuno aveva verità in tasca da spargere sul tavolo, e quasi tutti dicevano la loro. Quasi, perché qualcuno non partecipava. Annuiva, rispondeva quando interpellato, ma il suo contributo si esauriva in pochi monosillabi. Sembrava non avere niente da dire su nulla. Quando i suoi amici caddero uno dopo l'altro dagli sgabelli pensò a uno stupido scherzo, prima di correre a chiedere aiuto con le mani nei capelli. La carneficina si limitò a quel tavolo: in tutto il bar le vittime furono una dozzina.
Iniziò a spargersi la voce di una strana epidemia, di natura ancora ignota. Ma era sabato sera, la gente non aveva voglia di farsi prendere dal panico nei momenti di relax. Per cui la situazione rimase pressoché stazionaria fino al lunedì successivo, mentre gli obitori si riempivano dei morti della domenica mattina. I telegiornali annunciarono i soliti bollettini di guerra dei weekend, circondati dalle solite stronzate, e il giorno del Signore scivolò senza troppi sussulti. Fu registrato qualche decesso qui e là, invariabilmente avvenuto davanti alla televisione, niente di così disturbante.
La follia esplose il giorno dopo in diretta tv. Durante un'importante votazione parlamentare una quarantina di deputati si riversò sulla propria postazione, mentre la maggior parte dei loro colleghi era impegnata in una rissa. Trenta milioni di telespettatori si sintonizzarono su quella scena che il regista oscurò dopo dieci lunghissimi secondi, che bastarono a intasare tutte le linee di comunicazione. Le reti mandarono in onda un'edizione straordinaria che invitava alla calma, dopo aver annunciato ufficialmente la scoperta dell'epidemia. Senza la minima cognizione di causa i mezzi d'informazione suggerivano l'unica soluzione al problema: calma, rilassatevi, fate finta che non sia successo niente.
I medici legali e gli anatomo-patologi non sapevano che pesci pigliare. Le prime autopsie rilevavano cervelli devastati, come se qualcuno li avesse fatti esplodere con delle microcariche. Non trovarono agenti infettivi di alcun tipo. Quando alcuni colleghi finirono sul tavolo autoptico il panico si diffuse anche tra gli addetti ai lavori, e i pochi che tentavano di tranquillizzare gli animi erano ormai predicatori in un deserto affollato, pieno di invasati che correvano verso gli ospedali, i municipi, le scuole e le chiese, le più gettonate. Mai vista tanta gente in chiesa come in quei giorni. E chissà come, per una volta le preghiere sembravano funzionare, almeno all'inizio. In chiesa la gente moriva pochissimo, la percentuale sfiorava lo zero. Ma quando si diffuse la voce di questa cura miracolosa, ed anche chi si proclamava ateo iniziò ad accorrere, i morti aumentarono a dismisura, quasi a voler significare che soltanto i veri devoti (o i fedeli più creduloni) meritavano la salvezza.
Dopo molto tempo furono pubblicati i primi dati sull'epidemia: la malattia non era di natura infettiva, non essendo contagiosa, ma era trasversale. Sembrava esserci qualche minima differenza tra estrazioni sociali, ma per il resto il morbo non faceva distinzioni. Più avanti emersero gruppi che sembravano molto più colpiti, soprattutto nell'ambito del volontariato: parecchie associazioni furono letteralmente sterminate. Alcune professioni, dopo l'epidemia, si ritrovarono in mostruosa carenza d'organico: professori, magistrati, personale sanitario, operatori socio-assistenziali, per non parlare dell'ambito artistico. Una vera carneficina a cui nessuno riusciva a dare una spiegazione.
Ma passò. Dopo un mese la malattia sembrò indebolirsi, e dopo due mesi non si registravano più decessi. Il conteggio dei morti finale appurò che il panico provocato aveva poche giustificazioni razionali. Dopo la strage dei primi giorni l'epidemia aveva avuto una bassissima letalità, tanto che fu stabilito che la precedente influenza di stagione aveva provocato più morti. La notizia scivolò via dai tg e i talk show, che ripresero la loro attività senza alcun problema, con le stesse facce e gli stessi, inutili argomenti di prima. I quaranta parlamentari deceduti furono sostituiti in base alle graduatorie delle liste elettorali, e via, tutto come al solito. I cinema tornarono a riempirsi nei giorni di festa e tutti ripresero a ridere alle battute di sempre. Ben pochi continuarono a riflettere, a chiedersi: ma che è successo? Com'è possibile che nessuno se lo chieda più? E così via, una domanda dopo l'altra, interrogativi che si accumulavano, si caricavano come molle, senza la possibilità di una valvola di sfogo. Qualcuno provò a porle ad alta voce, e come risposta ricevette un'alzata di spalle: – Ma che ti frega, vivi tranquillo – Ma le domande sono come radici, ad alcuni basta un soffio di vento per strapparle via, ad altri nemmeno una tromba d'aria, e quando iniziano a crescere non le fermi più. Così il morbo uccise ancora, lavorando con pazienza giorno dopo giorno, livellando le punte, conducendo infine la popolazione ad una perfetta, inespugnabile mediocrità. E gli interrogativi sparirono, lasciando il posto all'unica, granitica certezza di un presente stagnante su cui galleggiare e un passato pieno di polvere. In quanto al futuro, bastava non pensarci.
Fino alla prossima epidemia.
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