Ava DuVernay, prima donna afroamericana a vincere il premio come miglior regista al Sundance film festival, nel 2012, per Middle of Nowhere, porta sul grande schermo una vicenda realmente accaduta, e lo fa con Selma-La strada per la libertà: il film inizia nella primavera del 1965, quando, un gruppo di manifestanti capeggiati dal reverendo Martin Luther King (un eccezionale David Oyelowo), condusse una marcia pacifica, il cui punto di inizio era la città di Selma, mentre quello di arrivo Montgomery, nello Stato dell’Alabama, per protestare contro gli le difficoltà opposte ai cittadini afroamericani nell’esercizio del diritto al voto. Oggi, il cammino da Selma a Montgomery che migliaia di persone realizzarono per il diritto di voto, (Selma To Montgomery Voting Rights Trail) è un percorso storico degli Stati Uniti (National Historic Trail).
In realtà, come la pellicola ben rappresenta, le marce da Selma a Montgomery furono tre: le immagini della prima, avvenuta il 7 marzo 1965, vennero trasmesse dalla televisione statunitense, facendo indignare il mondo per quello che verrà definito il “Bloody Sunday”, poiché molti agenti della polizia attaccarono duramente gli attivisti con manganelli e lacrimogeni durante l’attraversamento dell’Edmund Pettus Bridge.
La seconda marcia ebbe luogo il martedì successivo, ma i 2500 manifestanti tornarono indietro dopo l’attraversamento del ponte pare (come si desume dalle immagini del film) per il timore di King di ulteriori scontri con le forze dell’ordine, perciò venne ribattezzata Turnaround Tuesday.
Infine, la terza marcia iniziò il 16 marzo, ed il giorno seguente, dopo che il giudice federale, a seguito dell’assassinio di un sacerdote bianco solidale coi manifestanti per mano di altri bianchi razzisti, riconobbe loro il diritto di manifestare, così come garantito dal Primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti. Moltissimi attivisti, di tutte le razze e le religioni, percorsero circa 16 kilometri durante quella memorabile giornata, e giunsero a Montgomery il 24 marzo.
Al termine di questa battaglia pacifica, Martin Luther King terrà un discorso davanti al tribunale, concludendo con la frase: “La tua verità sta marciando, Signore”, ed il presidente americano Johnson annuncerà l’emanazione del Voting Rights Act, che verrà firmato da lui stesso (con Martin Luther King al suo fianco) nell’agosto del 1965.
L’incredibile storia di questi uomini e donne coraggiosi viene rappresentata mirabilmente da Ava DuVernay: senza alcuna retorica o traccia di autocelebrazione, Martin Luther King è raffigurato in tutta la sua umanità, e con tutte le debolezze e le difficoltà che si trova quotidianamente ad affrontare sia all’interno della sua famiglia, che nel corso della battaglia non violenta per il riconoscimento dei diritti civili.
La sceneggiatura di Paul Webb ci mostra, nel corso della primissima scena del film, il reverendo intento a provare il suo discorso per la cerimonia del ritiro del premio Nobel per la pace. Il ritratto che David Oyelowo porta sul grande schermo, è quello di un uomo ormai affermato, ascoltato e rispettato dalla sua comunità, e, questa lontananza da ogni intento agiografico, conferisce forza e credibilità alla storia.
L’intento della regista, però, non è stato raccontare la vita di questo grande uomo (sorretto da una profonda fede in Dio e da un senso di giustizia incrollabile), bensì, quello di ricostruire un’epoca di soprusi e violenze che sembra, ormai, lontana, ma che è necessario rammentare costantemente. Infatti, secondo la regista: “Selma è la storia di una voce; la voce di un grande leader, la voce di una comunità che trionfa nonostante i tumulti e la voce di una nazione che ambisce a diventare una società migliore”.
L’attenta ricostruzione storica è, poi, sorretta dalle didascalie prese dai rapporti delle intercettazioni dell’FBI, capeggiata da H.J. Hoover, e dalle immagini di repertorio che raffigurano la vera marcia e che, in molte scene, si mescolano al film sulle note della bellissima colonna sonora, donando allo spettatore l’impressione di camminare al fianco dei manifestanti.
Questo film importante e necessario (vincitore dell’Oscar per la miglior colonna sonora) è sorretto dall’interpretazione di un grande cast: primo tra tutti David Oyelowo, che, per impersonare il reverendo King, è ingrassato, si è tagliato i capelli come lui ed ha studiato la sua gestualità e l’intensità dei suoi discorsi.
Meritano, sicuramente, di essere menzionati anche Oprah Winfrey, che recita nei panni di Annie Lee Cooper (famosa per aver subito la violenza dello Sceriffo Jim Clark mentre era in fila per registrarsi al voto), il superbo Tim Rooth, che presta il proprio volto al governatore George Wallace, rancoroso politico del Sud, segregazionista convinto e uomo assai fazioso, e Cuba Gooding Jr, coraggioso avvocato dei manifestanti.
La grande forza, l’intensità, il coraggio degli uomini e delle donne che si trovarono a Selma e che, inconsapevolmente, scrissero un’importantissima pagina di storia, viene trasposta meravigliosamente dalla regista, senza retorica, perbenismo o ampollosità: gli eventi di quegli anni durissimi sono stati oggetto di un’attenta ricostruzione storica: tra tutti, ricordiamo l’irremovibilità di Malcolm X, la presa di coscienza del Southern Christian Leadership Conference (sacerdoti che guidavano boicottaggi, marce e sit-in pacifici per protestare contro la segregazione nel Sud e che arrivarono a Selma per offrire sostegno morale e pratico), e l’assassinio di quattro ragazzine in una chiesa di Birmingham, fatta esplodere uomini bianchi che reputavano che la loro razza dovesse predominare sulle altre, in una scena di forte impatto emotivo che fa saltare dalla sedia lo spettatore.
È bene continuare a ricordare a tutti coloro che non vissero quegli anni, quegli avvenimenti drammatici e quella parte di Storia, che non si può mai davvero essere certi che quelle violenze non si ripeteranno, che quegli scempi non torneranno sotto un’altra forma, tanto che anche il Presidente Obama ha dichiarato: “Selma non riguarda il passato: Selma è oggi”.
A cura di Ilaria Pocaforza.