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Selma – La strada per la libertà: la recensione

Creato il 21 febbraio 2015 da Onesto_e_spietato @OnestoeSpietato

Selma – La strada per la libertà è il film che non ti aspetti, una sorpresa, una rivelazione.

selmaQuesto perché nel cinema degli ultimi anni fare un biopic robusto e di sostanza non è facile. Un genere, il biopic, fermo al palo da decenni, come ci ha confermato anche il furbetto e sopravvalutato The Imitation Game. Selma invece trova lo sguardo e il taglio giusto per raccontarci uno dei più eloquenti emblemi della libertà: Martin Luther King, una personalità (stranamente) mai portata prima sul grande schermo.

Selma è una fotografia nitidissima, perfettamente messa a fuoco, sull’uomo dietro e davanti al mito Luther King. Selma non sposa il tono epico, mitico, quasi leggendario del “dottor King” (come viene ripetutamente appellato nel film). Selma ci racconta l’uomo, con le sue debolezze e le sue paure, con la sua determinazione e la sua speranza, con la sua Fede in Dio e il suo timore sull’uomo (bianco).

Selma è un grande film, non perde un colpo, e se a qualcuno pare inciampare, si rialza come il popolo di Luther King bastonata dopo bastonata, corteo dopo corteo.
La regista afro-americana Ava DuVernay dirige con pugno fermo e voglia di svecchiare il genere un film nel quale mette davvero tutta se stessa. E bastano solo poche mirate inquadrature a rendere gigante un film già possente sin dalle prime sequenze. Qualche plongée, una memorabile ripresa aerea oltre le longarine dell’Edmund Pettus Bridge, e soprattutto un lavoro sul sonoro che accentua ed esalta un reparto visivo dominato da ralenti che danno il tempo di riflettere e lasciarsi ferire. Selma è un biopic che fa saltare dopo pochi minuti gli schemi del più ingessato cinema hollywoodiano, con quella bomba sulla chiesa che fa saltare sulla poltroncina.

Selma coinvolge pur rimanendo sobrio, mai ampolloso, mai enfatico neppure nelle prove attoriali. L’attore protagonista David Oyelowo regala una performance che vale oro, supportato da un Tom Wilkinson nei panni di Presidente Johnson che mostra il lato umano tra gli ingranaggi della grande politica americana.

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