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Semestre di Presidenza: gli errori di Renzi

Creato il 26 giugno 2014 da Retrò Online Magazine @retr_online

Il primo di Luglio l’Italia assumerà la Presidenza di turno del Consiglio dei Ministri dell’Unione Europea. In breve, il Consiglio raggruppa i ministri dei paesi membri; a seconda del tema in discussione, parteciperà il ministro competente per ogni paese. Esemplificando, se si tratta di economia ( il cosiddetto ECOFIN) a Bruxelles sono attesi i ventotto ministri dell’economia e delle finanze. Se si discute di agricoltura, a partecipare saranno i titolari del ministero dell’agricoltura dei Paesi membri. Questa istituzione prevede una presidenza a rotazione: tre Stati ogni diciotto mesi. Succediamo alla Grecia e assumiamo questo ruolo dalla settimana prossima.

Il Consiglio è un organo assai importante; su molte materie è la seconda camera legislativa dell’Unione, su altri temi delibera come unico organo competente ( se del caso, dietro autorizzazioni o pareri del Parlamento). Ha competenze anche esecutive, in determinate circostanze.

Fermi questi elementi di base, e facendo attenzione a non confonderlo con il Consiglio Europeo ( composto dai ventotto Capi di Stato e di Governo), si possono analizzare le parole che ieri ( 24/6/2014) il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha usato alla Camera per spiegare come l’Italia intende esercitare il suo ruolo per i prossimi sei mesi.

La percezione di chi scrive è che il Renzi sicuro e baldanzoso che conosciamo sia un leader autentico sui temi di politica interna; su ciò ha pochi rivali, conosce i problemi e ha una linea chiara, poi liberamente criticabile, circa le soluzioni. Sulla tematica europea, invece, è meno preciso, meno sicuro. Vediamo, attraverso alcuni punti chiave, cosa il premier legge in maniera poco approfondita.

Nomine
Pochi giorni prima del primo Luglio, si terrà a Bruxelles il Consiglio Europeo; in quest’occasione, i Capi di Stato e di Governo sono chiamati a discutere in maniera determinante la nomina del prossimo Presidente della Commissione Europea ( mutatis mutandis, l’Esecutivo dell’Ue). Sempre riassumendo dal punto di vista politico quanto precede l’appuntamento, il Trattato afferma che è il Consiglio Europeo a dare l’incarico al Presidente della Commissione, che forma l’Esecutivo e sulla base del suo programma si presenta al Parlamento Europeo per la fiducia. Un meccanismo molto simile a quello italiano. In occasione delle elezioni europee del venticinque maggio si era detto, in maniera cristallina, che questa volta sarebbe stato diverso; diverso perché le famiglie politiche avrebbero indicato un leader, e il Consiglio Europeo avrebbe dovuto solamente dare l’incarico al leader del partito con la maggioranza relativa. Il presidente in pectore avrebbe poi concordato un programma volto ad ottenere la fiducia, cioè la maggioranza in aula. Tutto ciò, nelle intenzioni, avrebbe favorito la creazione di un Esecutivo forte, con un legame più diretto coi cittadini e dunque una forza politica maggiore.

Gli stessi politici che hanno girato il Vecchio Continente raccontando che “stavolta è diverso”, paiono oggi più restii a veder un governo forte. Anzi, c’è chi non riesce a farsene una ragione: il premier Cameron ha detto che si aspetta che il Consiglio Europeo voti in maniera palese, tra dare l’incarico a chi ha ottenuto la maggioranza relativa ( Junker, Partito Popolare Europeo) e invece non assecondare il meccanismo. L’idea del voto interno è un azzardo: di solito tale istituzione concorda informalmente il nome e approva all’unanimità. Peraltro, pare che Cameron non sia riuscito a farsi seguire. La strada per Junker potrebbe esser in discesa.

Sul punto Matteo Renzi ama ripetere: “prima decidiamo dove andare, poi chi guida la macchina”. Prima i programmi, poi i nomi. Fuor di contesto, son le parole di uno statista; ma il punto è che qui, in maniera preventiva e chiara, si era stabilito un altro significato politico da dare a queste elezioni. Il patto tra elettori ed eletti era preciso; giuridicamente liberi di fare come credono, politicamente vincolati a dar l’incarico a Junker. Poi magari il Lussemburghese non avrà la fiducia, ma è lui il primo a doverci provare.

Immigrazione
Non uso il virgolettato perché non ricordo le parole esatte, ed è brutta abitudine di certo giornalismo inventare discorsi diretti. Il video dell’intervento è online: http://youtu.be/633mj0JMMjc http://youtu.be/633mj0JMMjc Il concetto, anche questo più volte ripetuto e sbandierato, è che l’Unione regola la pesca nei dettagli, pure quelli più ridicoli, e “lascia morire donne e bambini in mare” (questo sì citato testualmente). Il riferimento è agli sbarchi a Lampedusa, naturalmente. Qui l’errore non è solo di lettura politica, ma di stucchevole pressappochismo. L’unione Europea funziona sulla base del principio di attribuzione: spiegato semplice, l’Unione fa solo quello che i Trattati dicono che l’Ue può fare ( i trattati, naturalmente, sono redatti dagli Stati). Siccome attorno all’immigrazione si gioca buona parte dell’esercizio della sovranità di uno Stato, nessuno ha pensato di cedere i dovuti poteri a Bruxelles. Tuttavia, con fretta e ignavia si scaricano sulla capitale belga gli errori occorsi nel Mediterraneo. È vero che la politica di immigrazione dovrebbe esser condivisa da tutti, per aiutare noi che accogliamo persone soprattuto per ragioni geografiche; ma, coerentemente, serve la forza politica di dire: modifichiamo i trattati. Dare responsabilità a chi non ha poteri adeguati è deplorevole.

Il semestre, in concreto
I passaggi del discorso del premier su “la Politica con la P maiuscola”, sul ridare una dimensione di visione, di speranza, di sogno all’Europa sono a tratti affascinanti; anche al netto della semplificazione tra Europa dei numeri e Europa politica. Ma il punto è che questo cambiamento culturale, sentito, poteva esser oggetto di discorsi generali, di più ampio respiro. A una settimana dall’inizio del semestre sarebbe stato preferibile esser più concreti, nell’individuare l’agenda; è anche meno provinciali, mi si passi il termine, nel dilungarsi su cosa l’Italia farà nel frattempo.

In conclusione, Renzi non ha mai fatto mistero di desiderare gli Stati Uniti d’Europa. Si può permettere di usare l’espressione, che piace all’elettorato democratico. Ma è un obiettivo così ambizioso da richiedere idee precise, chiare, portate avanti nella quotidianità e nelle opportune sedi. Perdere terreno su una maggior legittimità democratica delle istituzioni, su una maggior integrazione relativa a temi che ci tengono tutti legati a doppio filo, è in contrasto con l’idea di Europa dei Padri Fondatori cui pure il premier è riconoscente. Un uomo solo non può occuparsi di tutto; anzi, un vero leader sa quando delegare e a chi. Ora Renzi faccia il leader, e segua con fiducia l’operato di Sandro Gozi, suo sottosegretario agli Affari Europei e persona di indiscutibile preparazione, per dare incisività al semestre, grande occasione per noi tutti.

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