Di questa situazione non ci dobbiamo per niente meravigliare. La carta repubblicana entrata in vigore il primo gennaio 1948, per quanto attiene a funzioni, potestà e rapporti degli organi politici statali (parlamento, governo, capo dello stato), è una copia quasi perfetta dello statuto albertino. L’unica differenza tra la costituzione e lo statuto è che nella carta oggi in vigore non viene espressamente indicata una norma al contrario presente all’articolo cinque della vecchia carta: ‘‘Al re solo appartiene il potere esecutivo’’. Ma è un dettaglio insignificante, poiché il presidente della repubblica detiene, come deteneva il re, i poteri di controfirma sui decreti e i disegni di legge governativi. Ciò significa, tradotto in un linguaggio adamantino, che il presidente ha in pugno il governo e può condizionarne a piacere l’azione.Aperta parentesi. A uso e consumo dei pedanti aggiungerò che il re aveva inoltre sulle leggi un assoluto potere di sanzione. Poteva cioè a sua discrezione promulgarle o meno, mentre al presidente è data facoltà di rinviare con messaggio motivato una legge alle camere. Se però il parlamento gli ripropone lo stesso testo è tenuto a promulgarlo. Oltre a ciò, va ricordato che a suo tempo il senato era per intero di nomina regia, adesso invece il presidente può nominare soltanto cinque sentori a vita. Chiusa parentesi.
I pilastri del sistema delineato dallo statuto albertino erano il parlamento e il capo dello stato, con al centro il governo, politicamente responsabile nei riguardi del parlamento e strattonato di qua e di là dalle camere e dal re. La costituzione repubblicana ha riprodotto, al millimetro, il medesimo schema.Il parlamentarismo nostrano si differenzia quindi in maniera eclatante dal modello parlamentare Westminister, i cui pilastri sono il parlamento e il governo. Se volessimo imitare il sistema inglese dovremmo riscivere la costituzione da cima a fondo e, soprattutto, dovremmo abrogare il quarto e quinto comma dell’articolo 87, che conferiscono al presidente i poteri di controfirma sui disegni di legge e sui decreti governativi, lasciandogli solo la prerogativa di promulgare le leggi. In un paese culturalmente e politicamente reazionario come l’Italia, incapace persino di abolire le province come Dio comanda, ciò non avverrà mai.Sarebbe pertanto più agevole correggere il nostro semipresidenzialismo all’amatriciana e farne un semipresidenzialismo tout court, alla francese. Basterebbe una piccola modifica all’articolo 83 della costituzione, che disciplina appunto l’elezione del presidente. Non sarebbe nemmeno indispensabile obbligare il capo dello stato a presiedere il consiglio dei ministri, i quali potranno continuare a recarsi loro stessi al Quirinale per far firmare le scartoffie e ricevere le insindacabili disposizioni, così come avveniva ai tempi del re e come avviene tutt’ora.