Nel caso delle mammografie, il prof. Gianfranco Domenighetti ha le idee molto precise: “la totalità degli opuscoli distribuiti dagli enti che promuovono questa indagine è non solo altamente disinformativa ma per la maggior parte può essere considerata ‘spazzatura'…".
“Uno studio recente ha dimostrato che in Italia l'80% delle donne crede che la mammografia annulli o riduca il rischio di ammalarsi di cancro al seno (sic!), e negli altri Paesi analizzati (Svizzera, Gran Bretagna, USA) la percentuale è più o meno di questo ordine di grandezza. Tale percezione ormai diffusa è la conseguenza di un'informazione parziale, non corretta ed intrisa di conflitti di interessi. Qualcuno dovrebbe farsi carico di correggerla…”.
Gli opuscoli “informativi” sono così disinformativi, incompleti e faziosi perché il loro obiettivo è proprio quello di convincere (con la paura) le donne a farsi una diagnosi strumentale.
I dati scientifici in merito alle mammografie dimostrano che tale pratica diagnostica NON riduce la mortalità delle donne colpite da cancro alla mammella.
Non a caso, sempre più riviste mediche ufficiali hanno pubblicato articoli ed editoriali che si interrogano sull'efficacia o meno di questo screening indiscriminato: “Non è sbagliato dire di no” (British Medical Journal); “Ripensare lo screening mammografico” (Journal of The American Medical Association); “E' ora di rinunciare allo screening mammografico?” (Canadian Medical Journal); “Più danni che benefici dallo screening mammografico” (British Medical Journal).
Titoli inequivocabili che rendono palpabile la percezione che qualcosa sta cambiando da dentro il sistema.
Nel 1992 sono stati pubblicati i risultati di un grande studio randomizzato canadese su donne dai 40 ai 49 anni: il gruppo di intervento ricevette ogni anno non solo la mammografia ma anche un esame clinico del seno, mentre il gruppo di controllo non ricevette nulla. Il risultato fu sorprendente: lo screening non riduceva la mortalità per cancro alla mammella.
Alla fine del 1992, addirittura 9 dei 10 trial randomizzati sull'efficacia dello screening mammografico erano stati completati e pubblicati nella letteratura medica: nessuno di questi studi (incluso quello canadese) dimostrò una riduzione della mortalità nelle donne giovani.
Una recente revisione scientifica del Nordic Cochrane Center dal titolo “Riduzione della mortalità grazie allo screening mammografico”, è stata eseguita su donne dai 50 ai 74 anni seguite per 10 anni.
Un primo gruppo di donne ha eseguito ogni 2 anni una mammografia, l'altro gruppo di controllo non ha fatto nulla.
Risultato: per ogni 1000 donne partecipanti allo screening, 1 donna avrà dopo 10 anni, la vita prolungata, cioè 1 decesso per tumore evitato rispetto a 1000 donne che non hanno fatto la mammografia.
Mentre è facile focalizzare l'attenzione su quella donna che ne ha tratto vantaggio, ma cosa ne è stato delle altre 999? Sono state sottoposte a screening senza alcun vantaggio e molte di loro sono state sovradiagnosticate.
I problemi infatti evidenziati da questo interessante studio sono: sovradiagnosi, falsi positivi e negativi, biopsie chirurgiche di approfondimento.
Falsi positivi in 242 donne
Circa 242 donne (oltre il 24%) hanno avuto un falso positivo, cioè una diagnosi di cancro al seno che in realtà non avevano. In pratica il mammografo evidenzia qualcosa che non c'è. Le complicanze psicologiche di ansia e paura legate alla diagnosi sono pesantissime.
E' bene precisare che nonostante l'alta tecnologica che caratterizza la nostra epoca, non esiste un esame laboratoristico privo di falsi positivi.
Falsi negativi in 5 donne
Cinque donne con il tumore al seno, la mammografia non lo ha riscontrato.
Biopsie chirurgiche di approfondimento in 50 donne
Almeno 50 donne hanno subito una operazione chirurgica invasiva e rischiosa, probabilmente inutile.
Sovradiagnosi di tumore al seno in 15 donne
Quindici donne con un tumori in situ, cioè un tumore incistato che non sarebbero mai evoluti, hanno subito tutti i trattamenti...
Quindi per una donna a cui si è evitato l decesso, altre 15 sono state trattate inutilmente con interventi chirurgici, radio e chemioterapici.
La conclusione del direttore del Nordic Cochrane Center di Copenaghen, Peter Gøetzsche, pubblicata il 31 luglio 2010 sul British Medical Journal dalla direttrice Fiona Godlee: “dopo 14 anni dall'introduzione degli screening, in Svezia NON si è verificata alcuna diminuzione della mortalità per cancro al seno!Non ci sono evidenze scientifiche che lo screening diminuisca la mortalità!
La mammografia per tanto non riduce la mortalità!
Sempre secondo il dottor Gøetzsche, la percentuale di falsi positivi dopo 10 screening è del 20% in Norvegia e del 50% negli Stati Uniti d'America. Questo vuol dire 1 donna su 5 in Norvegia e addirittura 1 donna su 2 in America avrà una diagnosi di cancro al seno completamente errata e falsata.
Questi dati assieme a tutti gli altri studi dimostrano che la mammografia produce l'effetto opposto: porta a più mastectomie, almeno il 20% in più. Il motivo è facile da comprendere: questo esame diagnostico indiscriminato fa aumentare il numero di donne con cancro al seno di tipo invasivo (il più pericoloso e mortale), ma anche il numero di donne con microscopici tumori distribuiti nella mammella.
Un lungo periodo di follow-up fatto su 215.000 donne del New Mexico che avevano avuto un referto mammografico normale, ha dimostrato che il rischio di queste donne di sviluppare un tumore alla mammella nei successivi 7 anni era esattamente lo stesso di quello delle donne della stessa età nella popolazione generale.
Effetto Betty Ford
Nel 1974 ad Elizabeth Ann Bloomer Warren, moglie di Gerald Ford, venne diagnostico il cancro al seno.
Qual è il motivo per cui è importante tale gossip?
A poche settimane dalla diagnosi, il marito divenne il 38° presidente degli Stati Uniti d'America, e la first lady non nascose al pubblico la sua malattia, anzi, si fece promotrice di una campagna massificata di screening alla mammella.
Il suo caso - come sempre accade nelle popolazioni pilotate e controllate mentalmente dai mezzi di comunicazione di massa - ebbe un impatto sociale enorme. La pubblicità, per non dire il marketing, nata intorno al suo caso, amplificò la campagna di esami sponsorizzata dal National Cancer Institute e dall'American Cancer Society. Moltissime donne sanissime, per sicurezza, fecero la mammografia!
Il grafico ne è la prova: nell'anno 1974 il picco di diagnosi è dovuto proprio al cosiddetto Effetto Betty Ford
Quando la mammografia fu introdotta, negli anni '70 e 80' il tasso di tumori al seno aumentò di circa il 50%.
Gli screening mammografici, purtroppo per noi, nascondono ben altri problemi.
Le mammografie infatti non solo non riducono la mortalità per cancro al seno, ma sono pericolose per la salute stessa delle donne che vi si sottopongono.
Il National Cancer Institute, qualche anno fa varò un programma diagnostico di massa che prevedeva mammografie su donne sane.
Nel 1986 dovette ammettere un aumento “inaspettato e privo di spiegazioni” del tasso di mortalità per tumore al seno.
Forse una spiegazione esiste.
Il direttore del Biostatistics Department del Roswell Park Institute pubblicò una ricerca secondo cui il numero di tumori provocati dalle radiografie sarebbe stato molto superiore a quello dei tumori evitati grazie allo screening.
Per questo motivo e non solo, l'American Cancer Society fa retromarcia: da sostenitrice convinta degli screening per la diagnosi dei tumori ammette ora di avere qualche dubbio sull'efficacia, in particolare, delle mammografie e dei test del PSA per il carcinoma della prostata.
Tratto dal libro "Cancro Spa" di Marcello Pamio