ROMA – Questa volta ad affermarlo non è uno psicologo o un sociologo, bensì la Corte di di Cassazione: un bambino o una bambina possono crescere bene in una famiglia con genitori dello stesso sesso.
Questa volta, dunque, non ci si trova più di fronte a dibattiti discutibili o meno ma ad una vera e propria sentenza, che fa venire meno tutti i pregiudizi sull’affidamento di bambini a coppie omosessuali: un minore può crescere in modo equilibrato anche in una famiglia gay.
“Ancora una volta, un tribunale italiano da ragione alla famiglia composta da persone dello stesso sesso. Non solo, negli anni scorsi, la Corte Costituzionale e la Corte di Cassazione hanno dichiarato il matrimonio omosessuale perfettamente compatibile con la nostra Costituzione, ora la Corte di Cassazione ribadisce quello che ripetevamo da tempo e cioè che un bambino cresce in una famiglia di mamma e mamma o di papà e papà esattamente allo stesso modo di un bambino che cresce in una famiglia uomo-donna”. A dirlo in una nota è Flavio Romani, presidente di Arcigay, dopo la sentenza della Cassazione che ha stabilito che è solo un pregiudizio ritenere dannoso per un equilibrato sviluppo del minore crescere all’interno di una famiglia composta da una coppia omossessuale”
“E’ l’amore – commenta Arcigay – che cresce un figlio o una figlia, non l’orientamento sessuale dei genitori. Quello di oggi è un pronunciamento istituzionale storico che dà un assist formidabile alla futura maggioranza per legiferare finalmente per il matrimonio tra persone dello stesso sesso e la piena uguaglianza delle famiglie. Ricordiamo che già oggi in Italia esistono migliaia di figli e figlie di coppie omosessuali che sono discriminati per legge: è un orrore sociale e legislativo che va rapidamente superato”.
Romani esorta quindi i partiti politici a prendere “finalmente atto di questa sentenza” e adeguare i loro programmi e le loro prospettive “ad una realtà che oramai non può essere lasciata senza tutele e normative. Basta quindi con la corsa ai distinguo e alle mezze misure sui diritti civili e la dignità delle persone, l’uguaglianza sostanziale che i tribunali e la società già ci riconoscono, e che solo la politica si ostina a voler ignorare, va riconosciuta per legge”.
Nel caso in questione, i giudici hanno confermato l’affidamento esclusivo di un bimbo a una donna che convive con un’altra donna nonostante il ricorso del padre del bimbo. La prima sezione civile ha rigettato l’istanza presentata dall’uomo, di religione musulmana, contro la sentenza con cui la Corte d’appello di Brescia che comunque aveva stabilito che il figlio minore vivesse con la madre, ex tossicodipendente, la quale aveva deciso di andare a convivere con una delle educatrici che aveva conosciuto in una comunità di recupero. La decisione dei giudici di Brescia era conseguenza di un episodio violento del papà, alla presenza del bambino, contro la convivente dell’ex compagna. L’uomo era ricorso in Cassazione lamentando la carenza motivazionale della decisione di merito sull’idoneità sotto il profilo educativo della famiglia in cui il minore era stato inserito, “composta da due donne legate da una relazione omosessuale”.