Sentenza Thyssen ...non replicabile .L'opinione del procuratore Deidda

Creato il 05 maggio 2011 da Andrea21948

Thyssen, sentenza non replicabile


Parla Beniamino Deidda, procuratore generale a Firenze. "È stata esemplare, ma provare il dolo, anche eventuale, è sempre una cosa assai complicata. Il legislatore e i giudici dovrebbero ripensare i reati colposi"
di Enrico Galantini

“La prima considerazione che mi è venuta in mente all’annuncio della sentenza è che giustizia era stata fatta”. A dirlo è Beniamino Deidda, procuratore generale a Firenze, al quale abbiamo chiesto di ragionare con 2087 sulla sentenza ThyssenKrupp, con la quale a metà aprile la Corte di Assise di Torino ha condannato a pene pesantissime i dirigenti della multinazionale tedesca dove il 6 dicembre del 2007 sette operai erano morti in un incendio alla linea 7. Uno dei più gravi incidenti sul lavoro mai verificatisi nel nostro paese. “L’evento era davvero gravissimo: sette morti in quel modo, con quella serie di carenze già rilevate in passato all’interno della fabbrica. Una pena severissima, com’è stata quella che ha colpito la dirigenza della ThyssenKrupp mi pare in qualche modo una sentenza esemplare. Per la prima volta per questo tipo di reato abbiamo avuto in Italia una pena proporzionata alla gravità del danno provocato”. 
E in tempi relativamente brevi…
Deidda Diversamente da quanto accade normalmente nei processi per infortunio o malattia professionale, questa volta la magistratura ha dato prova di un celerità notevole, di una grande capacità e di una altissima specializzazione. Sono tre cose che difficilmente s’incontrano tutte insieme. La magistratura, di fronte a fenomeni così diffusi in tutto il territorio nazionale, raramente arriva al giudizio; quando ci arriva, ciò avviene spessissimo con gravi ritardi. Infine quando si arriva alla condanna, a volte essa consiste in pene irrisorie e certamente sproporzionate alla gravità dei fatti. Insomma, abbiamo una magistratura che, per solito, dal punto di vista della specializzazione e dell’efficienza, in materia di infortuni professionali, lascia a desiderare. Tutte queste cose dobbiamo dire rispetto alla sentenza torinese, che è stata resa più facile dalla presenza del dott. Guariniello, che è persona di grandissima esperienza e professionalità, e poi dei due colleghi pm che l’hanno affiancato, che si sono rivelati di grandissima competenza. Siamo dunque di fronte a un caso che per molti versi, può essere definito eccezionale.
Molte persone hanno parlato di una sentenza epocale, tale cioè da imprimere una svolta ai processi per gli infortuni sul lavoro. Lei è d’accordo?
Sicuramente è la prima volta che si ha una sentenza di queste proporzioni. Ed è anche la prima volta che si punisce a titolo di dolo un reato – l’omicidio sul lavoro – che solitamente ha visto la contestazione della fattispecie colposa. Mi chiedo se, al di là del caso ThyssenKrupp, lo schema giuridico accolto dalla sentenza possa essere proposto per gli altri infortuni sul lavoro per il futuro. Su questo devo confessarle che ho qualche dubbio.
Perché?
Vede, nel codice Rocco, che risale agli anni ’30, il legislatore ha punito i reati più gravi a titolo di dolo, i reati più lievi a titolo di colpa e un gruppo di reati minori li ha considerati come contravvenzioni. Tutto questo era giustificabile negli anni ’30, quando il nostro era prevalentemente un paese agro-pastorale, in cui i rischi legati alle modalità della convivenza civile erano scarsi: non c’erano automobili, non si moriva per un incidente stradale, gli alimenti non erano sofisticati ecc. Insomma, quello che noi chiamiamo il “diritto penale del rischio” non era sviluppato. La punibilità era legata al verificarsi di un evento punito dal codice penale e non veniva presa in considerazione la violazione delle norme di cautela, di prudenza o di diligenza, il cui rispetto oggi è essenziale per una convivenza ordinata e sicura.
E così quei reati che nel 1930, al tempo del codice Rocco, avevano scarsa importanza, nella vita di oggi assumono un’importanza enorme. Cementificare le colline intorno alla città espone l’autore ancor oggi a una semplice contravvenzione edilizia. Inquinare un fiume integra appena una contravvenzione. Oggi tutti reclamiamo una maggiore severità delle sentenze sugli incidenti stradali mortali, o sugli infortuni sul lavoro o le malattie professionali. Oggi insomma il contesto sociale è cambiato ed è cambiata di conseguenza la rilevanza di alcuni comportamenti colposi capaci di recare danno alla collettività. Oggi abbiamo bisogno di rafforzare la punibilità per colpa. I reati colposi sono i reati della modernità e hanno bisogno di più attenzione da parte di tutti. Bisogna stare attenti a non danneggiare involontariamente i diritti delle persone per colpa, cioè per negligenza, per imprudenza, per imperizia ecc. La perizia, la prudenza, la diligenza sono requisiti che oggi nel vivere civile contano molto più di ieri, perché senza di essi si può mettere a repentaglio la stessa convivenza. La scelta di punire per dolo i comportamenti di chi non rispetta le norme di prevenzione è una scelta che da questo punto di vista non si muove nella stessa direzione verso la quale si evolve la vita della collettività.
Mi chiedo perciò se in prospettiva non ci si debba augurare che il legislatore provveda a rafforzare la colpa e cioè ad assegnare un rango di maggiore gravità ai reati colposi, piuttosto che prevedere nuovi delitti dolosi in materia di prevenzione degli eventi dannosi. Aggiungo che provare il dolo, anche eventuale, non è così semplice. Ci sono riusciti a Torino perché le indagini sono state condotte molto bene, perché hanno trovato gli elementi caratteristici della previsione dolosa dell’evento dannoso. Ma insomma, non è semplice e non è facile per tutti gli infortuni sul lavoro. 
Ma in questo caso, se si fosse puntato sulla colpa, non si sarebbe potuto raggiungere un risultato altrettanto significativo…
Di solito nei reati colposi non soltanto il reato viene ritenuto di minore gravità. Ma vengono date pene assai inferiori a quelle che lo stesso codice prevede. A volte si danno otto mesi, un anno per un omicidio colposo; a Torino gli anni sono stati quindici. È così vistosa la disparità con cui abbiamo trattato finora i reati di infortunio rispetto a quanto è stato deciso per il caso ThyssenKrupp da indurci a riflettere. Il reato colposo avrebbe potuto prevedere una pena fino a sette anni, con un notevole aumento, trattandosi di omicidio di più persone. Ma la novità maggiore è che questa volta è stata contestato l’evento mortale come effetto voluto della condotta criminosa.
Ma che cosa vuol dire esattamente “dolo eventuale”, quello che è stato imputato ai dirigenti della ThyssenKrupp?
Vuol dire che si è ritenuto che i dirigenti della ThyssenKrupp fossero coscienti del fatto che, per la violazione delle norme di sicurezza, qualcuno dei lavoratori poteva morire. Si erano rappresentati l’evento, l’eventualità della morte. L’avevano in qualche modo messa in conto. E, nonostante ciò, sono andati avanti nel violare le norme di prevenzione. 
Tornando alla colpa, lei dice insomma che bisogna essere più duri per quanto riguarda i reati colposi…
Soprattutto bisogna dare alla colpa il peso che le spetta nella società moderna. I comportamenti colposi assumono oggi un peso molto più grave che in passato. Se uno corre ad eccessiva velocità e investe una persona sulle strisce pedonali, certo che è avvenuto per colpa. Ma l’effetto è la morte di un uomo. In passato non capitava di dover difendere il diritto alla vita soprattutto attraverso i reati colposi. Oggi a settant’anni e passa di distanza dal codice penale, capita sempre più spesso. Abbiamo dunque la necessità di adeguare i nostri strumenti: i reati colposi sono socialmente più gravi che in passato e vanno puniti più adeguatamente di quanto non si faccia ora. Il codice Rocco li riteneva marginali. Oggi invece sono diventati i reati con cui si attenta alla convivenza civile. 
Ma chi deve intervenire, il legislatore o i giudici?
Tutti e due. I giudici hanno una percezione sbrigativa dell’accidentalità del fatto infortunistico. Per formazione, per essere cresciuti nell’ambito di un codice penale vecchio, la maggior parte di noi non ha una sufficiente consapevolezza del fatto che l’indifferenza verso i doveri sociali – di attenzione, di diligenza, di perizia – ha una gravità inaudita nella vita civile contemporanea. Lo stesso vale per il legislatore, che dovrebbe adeguare la considerazione e le pene per i reati colposi secondo il comune sentimento dei cittadini. Naturalmente, tutto questo non scalfisce minimamente l’importanza e la novità della sentenza di Torino. Resta cioè il fatto che abbiamo vissuto una pagina di storia giudiziaria per molti versi esemplare. 
Anche se lo schema ThyssenKrupp secondo lei non è così facilmente replicabile in futuro ad altri casi…
Certo non in tutti i casi di infortunio. Lo ripeto: provare il dolo, anche eventuale, è cosa assai complicata.
Ma una sentenza come quella di Torino, secondo lei, reggerà in appello?
Come faccio a risponderle? Non ho poteri divinatori…
Ultima questione. Lei prima parlava della celerità, dell’efficienza, della specializzazione dimostrati dalla Procura di Torino. Qualità che spesso mancano da altre parti. Non è questa una ragione a favore di una Procura nazionale anti-infortuni, almeno per i casi più importanti?
Ripeto ciò ho risposto all’analoga domanda postami dalla commissione parlamentare sugli infortuni sul lavoro. Mentre per quanto riguarda la procura antimafia, il fenomeno su cui indaga è unico ed è necessario stabilire i collegamenti tra le tante sue manifestazioni, questo non è il caso degli infortuni sul lavoro. Che sono diversi a seconda della tipologia delle aziende, del territorio, delle strutture, degli investimenti. Non c’è un fenomeno criminoso per gli infortuni che possa essere considerato unitariamente. Io credo che sarebbe meglio che a specializzarsi fossero in tanti magistrati, razionalmente distribuiti sul territorio.
Questa intervista apre il numero 5 di 2087, in uscita in questi giorni. Il numero è dedicato al tema della sicurezza nel settore dei trasporti. Chi fosse interessato si può rivolgere a Stefania Parisi, chiamando lo 06.44.888.207 o inviando una mail a s.parisi@rassegna.it
http://www.rassegna.it/articoli/2011/05/02/73867/thyssen-...

Thyssen, sentenza non replicabile


Parla Beniamino Deidda, procuratore generale a Firenze. "È stata esemplare, ma provare il dolo, anche eventuale, è sempre una cosa assai complicata. Il legislatore e i giudici dovrebbero ripensare i reati colposi"
di Enrico Galantini

“La prima considerazione che mi è venuta in mente all’annuncio della sentenza è che giustizia era stata fatta”. A dirlo è Beniamino Deidda, procuratore generale a Firenze, al quale abbiamo chiesto di ragionare con 2087 sulla sentenza ThyssenKrupp, con la quale a metà aprile la Corte di Assise di Torino ha condannato a pene pesantissime i dirigenti della multinazionale tedesca dove il 6 dicembre del 2007 sette operai erano morti in un incendio alla linea 7. Uno dei più gravi incidenti sul lavoro mai verificatisi nel nostro paese. “L’evento era davvero gravissimo: sette morti in quel modo, con quella serie di carenze già rilevate in passato all’interno della fabbrica. Una pena severissima, com’è stata quella che ha colpito la dirigenza della ThyssenKrupp mi pare in qualche modo una sentenza esemplare. Per la prima volta per questo tipo di reato abbiamo avuto in Italia una pena proporzionata alla gravità del danno provocato”. 
E in tempi relativamente brevi…
Deidda Diversamente da quanto accade normalmente nei processi per infortunio o malattia professionale, questa volta la magistratura ha dato prova di un celerità notevole, di una grande capacità e di una altissima specializzazione. Sono tre cose che difficilmente s’incontrano tutte insieme. La magistratura, di fronte a fenomeni così diffusi in tutto il territorio nazionale, raramente arriva al giudizio; quando ci arriva, ciò avviene spessissimo con gravi ritardi. Infine quando si arriva alla condanna, a volte essa consiste in pene irrisorie e certamente sproporzionate alla gravità dei fatti. Insomma, abbiamo una magistratura che, per solito, dal punto di vista della specializzazione e dell’efficienza, in materia di infortuni professionali, lascia a desiderare. Tutte queste cose dobbiamo dire rispetto alla sentenza torinese, che è stata resa più facile dalla presenza del dott. Guariniello, che è persona di grandissima esperienza e professionalità, e poi dei due colleghi pm che l’hanno affiancato, che si sono rivelati di grandissima competenza. Siamo dunque di fronte a un caso che per molti versi, può essere definito eccezionale.
Molte persone hanno parlato di una sentenza epocale, tale cioè da imprimere una svolta ai processi per gli infortuni sul lavoro. Lei è d’accordo?
Sicuramente è la prima volta che si ha una sentenza di queste proporzioni. Ed è anche la prima volta che si punisce a titolo di dolo un reato – l’omicidio sul lavoro – che solitamente ha visto la contestazione della fattispecie colposa. Mi chiedo se, al di là del caso ThyssenKrupp, lo schema giuridico accolto dalla sentenza possa essere proposto per gli altri infortuni sul lavoro per il futuro. Su questo devo confessarle che ho qualche dubbio.
Perché?
Vede, nel codice Rocco, che risale agli anni ’30, il legislatore ha punito i reati più gravi a titolo di dolo, i reati più lievi a titolo di colpa e un gruppo di reati minori li ha considerati come contravvenzioni. Tutto questo era giustificabile negli anni ’30, quando il nostro era prevalentemente un paese agro-pastorale, in cui i rischi legati alle modalità della convivenza civile erano scarsi: non c’erano automobili, non si moriva per un incidente stradale, gli alimenti non erano sofisticati ecc. Insomma, quello che noi chiamiamo il “diritto penale del rischio” non era sviluppato. La punibilità era legata al verificarsi di un evento punito dal codice penale e non veniva presa in considerazione la violazione delle norme di cautela, di prudenza o di diligenza, il cui rispetto oggi è essenziale per una convivenza ordinata e sicura.
E così quei reati che nel 1930, al tempo del codice Rocco, avevano scarsa importanza, nella vita di oggi assumono un’importanza enorme. Cementificare le colline intorno alla città espone l’autore ancor oggi a una semplice contravvenzione edilizia. Inquinare un fiume integra appena una contravvenzione. Oggi tutti reclamiamo una maggiore severità delle sentenze sugli incidenti stradali mortali, o sugli infortuni sul lavoro o le malattie professionali. Oggi insomma il contesto sociale è cambiato ed è cambiata di conseguenza la rilevanza di alcuni comportamenti colposi capaci di recare danno alla collettività. Oggi abbiamo bisogno di rafforzare la punibilità per colpa. I reati colposi sono i reati della modernità e hanno bisogno di più attenzione da parte di tutti. Bisogna stare attenti a non danneggiare involontariamente i diritti delle persone per colpa, cioè per negligenza, per imprudenza, per imperizia ecc. La perizia, la prudenza, la diligenza sono requisiti che oggi nel vivere civile contano molto più di ieri, perché senza di essi si può mettere a repentaglio la stessa convivenza. La scelta di punire per dolo i comportamenti di chi non rispetta le norme di prevenzione è una scelta che da questo punto di vista non si muove nella stessa direzione verso la quale si evolve la vita della collettività.
Mi chiedo perciò se in prospettiva non ci si debba augurare che il legislatore provveda a rafforzare la colpa e cioè ad assegnare un rango di maggiore gravità ai reati colposi, piuttosto che prevedere nuovi delitti dolosi in materia di prevenzione degli eventi dannosi. Aggiungo che provare il dolo, anche eventuale, non è così semplice. Ci sono riusciti a Torino perché le indagini sono state condotte molto bene, perché hanno trovato gli elementi caratteristici della previsione dolosa dell’evento dannoso. Ma insomma, non è semplice e non è facile per tutti gli infortuni sul lavoro. 
Ma in questo caso, se si fosse puntato sulla colpa, non si sarebbe potuto raggiungere un risultato altrettanto significativo…
Di solito nei reati colposi non soltanto il reato viene ritenuto di minore gravità. Ma vengono date pene assai inferiori a quelle che lo stesso codice prevede. A volte si danno otto mesi, un anno per un omicidio colposo; a Torino gli anni sono stati quindici. È così vistosa la disparità con cui abbiamo trattato finora i reati di infortunio rispetto a quanto è stato deciso per il caso ThyssenKrupp da indurci a riflettere. Il reato colposo avrebbe potuto prevedere una pena fino a sette anni, con un notevole aumento, trattandosi di omicidio di più persone. Ma la novità maggiore è che questa volta è stata contestato l’evento mortale come effetto voluto della condotta criminosa.
Ma che cosa vuol dire esattamente “dolo eventuale”, quello che è stato imputato ai dirigenti della ThyssenKrupp?
Vuol dire che si è ritenuto che i dirigenti della ThyssenKrupp fossero coscienti del fatto che, per la violazione delle norme di sicurezza, qualcuno dei lavoratori poteva morire. Si erano rappresentati l’evento, l’eventualità della morte. L’avevano in qualche modo messa in conto. E, nonostante ciò, sono andati avanti nel violare le norme di prevenzione. 
Tornando alla colpa, lei dice insomma che bisogna essere più duri per quanto riguarda i reati colposi…
Soprattutto bisogna dare alla colpa il peso che le spetta nella società moderna. I comportamenti colposi assumono oggi un peso molto più grave che in passato. Se uno corre ad eccessiva velocità e investe una persona sulle strisce pedonali, certo che è avvenuto per colpa. Ma l’effetto è la morte di un uomo. In passato non capitava di dover difendere il diritto alla vita soprattutto attraverso i reati colposi. Oggi a settant’anni e passa di distanza dal codice penale, capita sempre più spesso. Abbiamo dunque la necessità di adeguare i nostri strumenti: i reati colposi sono socialmente più gravi che in passato e vanno puniti più adeguatamente di quanto non si faccia ora. Il codice Rocco li riteneva marginali. Oggi invece sono diventati i reati con cui si attenta alla convivenza civile. 
Ma chi deve intervenire, il legislatore o i giudici?
Tutti e due. I giudici hanno una percezione sbrigativa dell’accidentalità del fatto infortunistico. Per formazione, per essere cresciuti nell’ambito di un codice penale vecchio, la maggior parte di noi non ha una sufficiente consapevolezza del fatto che l’indifferenza verso i doveri sociali – di attenzione, di diligenza, di perizia – ha una gravità inaudita nella vita civile contemporanea. Lo stesso vale per il legislatore, che dovrebbe adeguare la considerazione e le pene per i reati colposi secondo il comune sentimento dei cittadini. Naturalmente, tutto questo non scalfisce minimamente l’importanza e la novità della sentenza di Torino. Resta cioè il fatto che abbiamo vissuto una pagina di storia giudiziaria per molti versi esemplare. 
Anche se lo schema ThyssenKrupp secondo lei non è così facilmente replicabile in futuro ad altri casi…
Certo non in tutti i casi di infortunio. Lo ripeto: provare il dolo, anche eventuale, è cosa assai complicata.
Ma una sentenza come quella di Torino, secondo lei, reggerà in appello?
Come faccio a risponderle? Non ho poteri divinatori…
Ultima questione. Lei prima parlava della celerità, dell’efficienza, della specializzazione dimostrati dalla Procura di Torino. Qualità che spesso mancano da altre parti. Non è questa una ragione a favore di una Procura nazionale anti-infortuni, almeno per i casi più importanti?
Ripeto ciò ho risposto all’analoga domanda postami dalla commissione parlamentare sugli infortuni sul lavoro. Mentre per quanto riguarda la procura antimafia, il fenomeno su cui indaga è unico ed è necessario stabilire i collegamenti tra le tante sue manifestazioni, questo non è il caso degli infortuni sul lavoro. Che sono diversi a seconda della tipologia delle aziende, del territorio, delle strutture, degli investimenti. Non c’è un fenomeno criminoso per gli infortuni che possa essere considerato unitariamente. Io credo che sarebbe meglio che a specializzarsi fossero in tanti magistrati, razionalmente distribuiti sul territorio.
Questa intervista apre il numero 5 di 2087, in uscita in questi giorni. Il numero è dedicato al tema della sicurezza nel settore dei trasporti. Chi fosse interessato si può rivolgere a Stefania Parisi, chiamando lo 06.44.888.207 o inviando una mail a s.parisi@rassegna.it
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