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Sento la neve cadere di Domenico Infante

Creato il 08 luglio 2014 da Diletti Riletti @DilettieRiletti
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Poco tempo fa un’amica ha scritto qualcosa che riguardava le dimensioni di un libro; non sto qui a riportare tutto l’articolo, ma il succo era: non è il numero delle pagine a fare la bellezza di un libro. Ed è di un caso come questo che voglio parlarvi, un breve romanzo di grande grazia che mi si è consumato tra le dita in poche piacevoli ore di lettura.

Il destino in un nome, questa è la storia di Esilio. Un errore di trascrizione all’anagrafe e il nome di famiglia, Ersilio, si trasforma in un nome ostico e così poco adatto al bambino amato, al ragazzo sensibile che diventerà il protagonista. Amico e coetaneo del vicino di casa Gaspare, Esilio cresce felice e spensierato, non per questo ozioso: in una famiglia di contadini anche le mani dei bambini sono utili nel lavoro di una campagna che non è amante avara, ma molto pretende dall’uomo. Alla coppia di inseparabili ragazzi si aggiungerà poi Peppina, figlia rinnegata, stelo flessibile che promette un fiore da immaginare soltanto. In questa nuova generazione si annodano i fili di storie recenti ed antiche, tramandate nelle stagioni che si susseguono, lente e inarrestabili come una nevicata invernale, all’apparenza immutabili.

E invece ciò che sembra eterno, nel bene e nel male, tale non è: quando muore lo zu’ Lillo, spirito protettore dell’intera comunità ed alter ego per contrasto dell’arrogante barone, tutto sembra mutare bruscamente mentre il ventennio fascista precipita verso l’autodistruzione. Allorché Esilio scoprirà un segreto che riguarda la sua famiglia, amicizia, amore, vite intere si sgretoleranno, tramutandosi in dolore e tragedia e guerra: e il nome di Esilio si rivelerà una premonizione dolorosamente esatta.

Nell’Italia che giorno dopo giorno soffoca nel lezzo della dittatura, le Madonie sembrano lontanissime, immuni: eppure il paesino di Petralia Sottana,  un frammento sperduto di campagne e uomini di fatica, ripropone il ritratto del Paese tutto in una manciata di personaggi. Sullo sfondo di questo panorama aspro, in tanta fatica e dolore non mancano attimi di poesia delicata e purissima: la poesia del profondo equilibrio che si crea tra uomo e natura e tra uomo e uomo, quando la follia del potere non si frappone.

La narrazione, breve quanto densa, ha una voce adulta ma chiara, e usa un dialetto siciliano comprensibile, che dev’esser costato non poca fatica all’autore, napoletano trasferito a Roma. E qui, una nota personale: voglio ringraziare Domenico Infante, che ho avuto modo di incontrare poco tempo fa, per aver scritto questa storia con pennellate così nitide e pulite, prive di autocompiacimento e contorcimenti pseudointellettuali. È stato come respirare l’odore grasso della terra lavorata portato dal vento, è stato come chiudere gli occhi e sentire il rumore della neve che cade.

firma FS5bis


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