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Senza fiato: una chiaccherata con gli autori di Fiato Sospeso

Creato il 12 marzo 2012 da Lospaziobianco.it @lospaziobianco

Fiato Sospeso è un fumetto scritto da Silvia Vecchini, disegnato da Sualzo per i colori di Giusy Capizzi, edito da Tunué. Protagonista è Olivia, alle prese con un’età in cui la voglia di diventare indipendenti prende il sopravvento sul guscio protettivo eretto attorno alla sua allergia. Qui la nostra recensione.


Intervista a Silvia Vecchini

 

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Hai una vasta produzione di libri per ragazzi: hai trovato difficoltà tecniche nello scrivere la sceneggiatura di un fumetto?

 

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La storia era pronta, voleva essere un romanzo per ragazzi ma Antonio l’ha intercettata prima e mi ha chiesto di rivederla… Riconosco che il fumetto è un genere molto complesso e che richiede una conoscenza specifica. Per me è stato molto bello provare. Ho scritto liberamente sapendo che Antonio avrebbe capito l’intenzione profonda del testo, dei dialoghi, dell’ambientazione, il carattere dei personaggi e ho lasciato che lui “traducesse” la mia bozza in una vera e propria sceneggiatura. Volevo che avesse libertà di muovere i personaggi, decidere le inquadrature, che si affezionasse alla storia avendo la possibilità di intervenire direttamente. Vedevo le matite dei capitoli solo quando erano concluse.

Hai una vasta produzione di libri per ragazzi: hai trovato differenze significative per quello che riguarda produzione, distribuzione, promozione e rapporto con i lettori?
In generale non molto, nel senso che al centro c’è sempre la voglia di raccontare una storia. Una differenza sostanziosa è quella dell’impegno del disegnatore! I fumettisti sono eroi! Il lavoro che c’è in ogni pagina, vignetta per vignetta, inquadratura dopo inquadratura è davvero notevole. Si crea un legame davvero forte con la storia. Alla fine, lasciare i personaggi, pensare che il libro inizia la sua strada è molto emozionante. Un’altra caratteristica è l’impegno della casa editrice nella promozione… Per forza di cose, visto il mercato dei libri e dei fumetti in particolare, è un impegno molto concreto ma credo che sia anche frutto di una maggiore sensibilità. C’è l’idea che il libro vada seguito, accompagnato, facilitando in ogni modo l’incontro con i lettori. E questo si avverte anche nel rapporto con loro. È molto più diretto. Chi legge fumetti cerca gli autori, coglie l’occasione di incontrare chi disegna, è molto portato a confrontarsi e a scambiare opinioni su ciò che ha letto.

 

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Olivia è ispirata a una delle tue figlie: questo rapporto fra personaggio e persona reale ti ha creato difficoltà nello scrivere? Hai mai pensato di mettere su carta le tue paure o speranze di madre?
Sì, la storia di Olivia è nata guardando mia figlia nuotare in piscina in un momento in cui l’allergia iniziava a darle un po’ di tregua. Ma anch’io sono stata un soggetto allergico e dunque nel personaggio si mescolano diversi piani. Le mamme sono un bersaglio facilissimo per la paura ma allo stesso tempo riescono a trovare una spinta in più quando si tratta di dare motivi di speranza. Ho cercato di mettere tutto questo nella storia di Olivia. Non sappiamo se l’allergia è definitivamente battuta, se Olivia vincerà la gara, se troverà modo di inserirsi appieno… ma almeno è ai blocchi di partenza e potrà provare. Non è una questione di lieto fine ma di possibilità che credo non debbano essere negate a nessuno.

Che ruolo hanno i tuoi valori cristiani nella scrittura? Ti aiutano nella definizione di trama, personaggi e linguaggio?
Il messaggio cristiano mi spinge a farmi delle domande, guardare bene, aprire gli occhi di fronte alle cose, a non tirarmi indietro di fronte alle difficoltà e avere fiducia che si può risalire. È una cosa per me molto importante, ma nella scrittura, nell’invenzione, nella definizione di personaggi e storie, resta sullo sfondo. La storia, se c’è, fa da sé.

 

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Alla fine è giusto dire che “Fiato Sospeso” è un elogio alla personalità, un abbattimento della massificazione che domina il contesto sociale dei nostri tempi?
Sì, assolutamente. Mi capita di incontrare ragazzi a scuola o in libreria. Sono originali, pieni di idee e di cose da raccontare ma faticano molto a venire allo scoperto perché temono di non essere all’altezza. E allora la cosa più facile è quella di confondersi e somigliare a qualcuno di questi modelli così finti ma così diffusi e potenti. Ho scelto di raccontare la storia di due ragazzi un po’ fuori posto per dire che a tutti capita di sentirsi così… Quello che conta è provare a trovare la propria strada, volersi bene e difendere la propria diversità, le proprie scelte.

Quale è il tuo pensiero sull’attuale produzione, nel nostro paese, di fumetto/narrativa per ragazzi?
Riguardo ai fumetti per bambini e ragazzi mi sembra che la collana Tipitondi sia un generoso atto di fiducia. La scelta di Tunué è assolutamente nuova e coraggiosa. Probabilmente più avanti di quello che in realtà è il panorama di chi poi si trova a proporre libri ai bambini. Non parlo degli appassionati, che sono attenti e pronti a scovare cose nuove, ma a esempio nella scuola, a parte qualche bellissima e entusiasmante eccezione, troviamo pochissima preparazione riguardo ai fumetti. Poi però, basta dare un bel libro a fumetti in mano ai bambini per vedere che i lettori ci sarebbero, eccome.

Questa è una mia curiosità: lo straordinario personaggio Leo, esiste o è frutto interamente di fantasia?
Leo è frutto di fantasia solo per metà! In lui infatti si concentrano due miei carissimi e geniali amici. Ho avuto questa straordinaria fortuna di avere amici maschi: Mazi, distruttore di apparecchi elettronici per amore di scienza, precocissimo astronomo, e Simone, con cui ho condiviso ogni minuto di quell’ora fuori dal tempo che era il momento della mensa e dell’interscuola durante le medie.

 

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Intervista a Sualzo

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 Il tuo è uno stile non realistico: ha influenzato la scrittura del testo e la definizione dei personaggi, oppure hai lavorato sulla sceneggiatura già definita?
Come ha detto Silvia, non ho ricevuto la sceneggiatura ben definita, ma una via di mezzo tra un trattamento e un testo teatrale, e questo mi ha portato inevitabilmente ad un confronto serrato con lei per costruire in accordo i personaggi. E’ stato quasi un lavoro di adattamento, una trasposizione a fumetti di un’opera letteraria. Questo vale solo per la fase iniziale. Quando poi è stato chiaro che il suo romanzo non avrebbe visto la luce che sotto forma di fumetto, Silvia si è consegnata mani e piedi e ha scritto sicuramente pensando al mio stile, che tra l’altro conosce alla perfezione.

Sempre a proposito del tuo stile: quali differenze adotti nell’illustrazione di prodotti per ragazzi e in quella di prodotti destinati a un pubblico adulto come ad esempio L’Improvvisatore?
Quando comincio un lavoro non penso allo stile del disegno. L’unica cosa che mi interessa è la storia. Parte tutto da qui, è la storia che comanda tutto ciò che farò, stile compreso. Per il resto, ho sempre una completa e smisurata fiducia nel lettore e so che, se non tenterò di ingannarlo, mi seguirà dove lo voglio portare e mi capirà, non importa quale età abbia.

 

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Mi ha molto colpito la sensibilità ritmica che emerge dalle pagine, la scansione dei tempi della vicenda e delle scene: era già nella sceneggiatura o è nata in fase di disegno?
È un mio pallino da sempre, ne ho fatto uno dei motivi di esistenza de “L’improvvisatore”, e sicuramente anche in “Fiato sospeso” l’attenzione al ritmo della narrazione ha occupato gran parte della progettazione. La storia di Silvia aveva già una scansione ottima, non ho dovuto far altro che rispettarla più possibile. La vera sfida è stata cercare di tradurre le sue bellissime descrizioni di azioni e stati d’animo in sequenze visive che avessero lo stesso ritmo e pathos. Finché nessuno confronterà il suo testo con il fumetto… fatemi credere di esserci riuscito.
La sceneggiatura e le indicazioni dell’autore sono sicuramente le prime basi su cui poggiare, ma non posso rinunciare all’occasione di infilare nelle mie storie alcuni “attori”, presi dal reale, se non dal mio quotidiano. È noto che Manu ne “L’improvvisatore” abbia le fattezze e la chitarra del mio amico Emanuele, mentre vi rivelo che lo sguardo furbetto e i capelli perennemente spettinati di Leo in “Fiato sospeso” vengono direttamente da mio figlio Giovanni. Devo dire, comunque, che atteggiamenti e caratteri sono presi quasi sempre da persone che ho incontrato. Mi dà sicurezza, sento di riuscire a mettere un po’ più di vita nelle mie figurine di carta.

In “Fiato Sospeso” ci sono molte tavole e molte vignette mute, usi il silenzio in tutte le sue potenzialità: per rallentare il ritmo, per focalizzare l’attenzione sui gesti e i dettagli, per evocare atmosfere.
Le tavole e vignette mute hanno per me un ruolo molto particolare e le ritengo di grande importanza. È in quelle pagine che la narrazione si incarna completamente nella recitazione dei personaggi. Stai saltando “senza rete”, non hai le parole dell’autore a sostenerti, ma le stai traducendo totalmente in immagini. Credo che la “letterarietà” (perdonatemi la parolaccia) di una storia a fumetti venga espressa ai massimi livelli proprio dalle sequenze mute, dove il testo si fa pura rappresentazione e, se non è scritto bene, non c’è scampo.

 

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Potresti darci la tua analisi di quella che è la scena per me più importante della vicenda, dal punto di vista narrativo, quella della riconciliazione fra Olivia e Micaela (pag. 71)?
La scena di pagina 71 è di sicuro la chiave di volta dell’intera storia. È un attimo che deve far capire che tutta la compressione delle pagine precedenti è pronta a distendersi. Che incomincia una “galoppata” che condurrà la storia fino in fondo. C’è Olivia molto depressa, c’è un’azione concitata, violenta, e poi… c’è un interruttore che scatta e che fa prendere a Olivia la decisione che cambierà tutta la (sua) storia. Ho cercato di congelare questi passaggi cruciali in dettagli, rallentamenti, silenzi che facessero soffermare il lettore senza fargli perdere il passo che la storia stava prendendo. Perché, nell’economia del racconto, tutta la sequenza doveva comunque stare in una decina di pagine. Ho smontato questa scena almeno un paio di volte prima di arrivare alla versione finale.

Qual è invece la scena che ti ha dato più problemi di realizzazione?
Quanto a impegno sicuramente la lunga sequenza notturna, in cui Silvia ha saputo accatastare tutte le mie nemesi: biciclette, buio, pioggia, armi (una sola, per fortuna). In 18 pagine si doveva rappresentare una piccola epopea notturna con tre ragazzini sempre in scena sulle bici, colpi di scena, cambi di registro, di scorrere del tempo, di clima. Avevo il terrore di infarcire troppo quelle pagine o, al contrario, di risultare poco coinvolgente. Ho ancora il ricordo di me – a un tavolino di un bar, al mare – a spostare foglietti e cancellare furiosamente per cercare di incastrare il tutto, mentre la mia famiglia mi chiamava da riva cercando di convincermi a fare il bagno.

 

Intervista a Giusy Capizzi

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Sei un’illustratrice di libri per ragazzi, con molti lavori pubblicati anche all’estero. Come sei stata coinvolta nel progetto di “Fiato Sospeso”?
Antonio e Silvia sono due miei grandi amici e la prima volta che mi hanno parlato del progetto la sua pubblicazione era ancora lontana, ma la cosa mi aveva entusiasmato così tanto che in qualche maniera volevo farne parte anch’io; visto che il ruolo di scrittore e di illustratore erano già stati presi… Sono felice ed onorata che mi abbiano permesso di mettere un po’ del mio tra le pagine di Olivia.

Quale è il ruolo del colore nella vicenda?
Incredibilmente secondario! Olivia e le sue emozioni sono così intense che sarebbero saltate fuori da quelle pagine anche in bianco e nero, solo con le ombre fatte a matita. D’altronde è così che le ho viste per la prima volta ed è così che me ne sono innamorata.

Lavorando a un fumetto hai notato particolarità significative del linguaggio, rispetto all’illustrazione?
Le differenze tra questi due mondi mi hanno sempre incuriosita, anche se molto spesso, per i non addetti ai lavori, illustratori e fumettisti sono uno il sinonimo dell’altro; ma dopo aver partecipato a questo “viaggio” ho dovuto ammettere (ma solo con me stessa, non ditelo a Sualzo!) che i miei stimati colleghi di matita svolgono davvero un lavoro assai più arduo del mio, poiché se chi illustra può permettersi di liquidare interi brani con la sintesi poetica di una sola immagine, chi disegna fumetti… quante pagine hai disegnato Anto’?!

 

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Come avete organizzato il lavoro con Sualzo? Quanto margine di manovra avevi nelle scelte?
Benedetta tecnologia! Sembrava di lavorare allo stesso tavolo (io vivo a Catania… non proprio vicino casa Vincenti) e dopo un briefing iniziale su come gestire tinte e pennelli, ho lavorato cercando di entrare nelle atmosfere del racconto e nelle trame emotive che Silvia e Antonio avevano intessuto tutte intorno ad Olivia. C’è stato un continuo feedback, anche se loro mi hanno lasciata parecchio libera di usare la mia “sensibilità cromatica” in lungo e in largo, aggiustando il tiro qui e là. E’ stato divertente e anche da cardiopalma (la tecnologia a volte ci abbandonava e i tempi di consegna si infeltrivano come maglioncini di lana lavati a 90°). Antò, quando ne facciamo un altro?

 

Grazie a tutti per la vostra cortesia e alla prossima intervista!

 

Nota: si ringraziano, per la gentilezza e la collaborazione, Daniela Odri Mazza dell’ufficio stampa e Emanuele Di Giorgi Managing Director & CEO della Tunuè (auguri neo-papà!).


 

 


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