Carissima Tania, io non sono mai stato un giornalista che vende la sua penna a chi gliela paga meglio e deve continuamente mentire, perché la menzogna entra nella sua qualifica professionale. Sono stato giornalista liberissimo, sempre di una sola opinione, e non ho mai dovuto nascondere le mie convinzioni per fare piacere a dei padroni. E’ strano che tu vorresti da me una spiegazione del fatto che alcuni gruppi cosacchi credevano che gli ebrei avessero la coda. Si tratta di una barzelletta, raccontatami da un ebreo, commissario politico di una divisione d’assalto di cosacchi di Orenburg durante la guerra russo-polacca del 1920. Questi cosacchi non avevano ebrei nel loro territorio e li concepivano secondo la propaganda clericale come esseri mostruosi che avevano ammazzato Dio. Essi non volevano credere che il commissario politico fosse ebreo: tu sei dei nostri, gli dicevano, non sei un ebreo; sei pieno di cicatrici delle ferite toccate dalle lance polacche, combatti insieme con noi; gli ebrei sono un’altra cosa. La quistione delle razze non mi interessa. Così è senza valore il tuo accenno all’importanza dei sepolcri per ciò che riguarda la civiltà; ciò è vero solo per i tempi più antichi, per i quali i sepolcri sono i soli monumenti non distrutti dal tempo e perché dentro i sepolcri, accanto al defunto, venivano messi gli oggetti della vita quotidiana. In ogni caso questi sepolcri ci danno un aspetto molto limitato dei tempi in cui furono costruiti. Io non ho nessuna razza; mio padre è di origine albanese, mia madre è sarda per il padre e per la madre, e la Sardegna fu unita al Piemonte solo nel 1847, dopo essere stata un feudo personale e un patrimonio dei principi piemontesi che la ebbero in cambio della Sicilia che era troppo lontana e meno difendibile. Tuttavia la mia cultura è italiana fondamentalmente, e questo è il mio mondo; non mi sono mai accorto di essere dilaniato tra due mondi. D’altronde nessuno in Liguria si spaventa se un marinaio si porta al paese una moglie negra. Non vanno a toccarla col dito insalivato per vedere se il nero va via, né credono che le lenzuola rimarranno tinte di nero. Ti abbraccio teneramente. Antonio.
-Antonio Gramsci, Lettera LIII, L’Albero del Riccio, Milano-sera editrice,1948.
LA CANZONE DELLE BANCHE
O Italia mia, vedo le banche e i parchi
Metallici presidii e l’eccedenza
Di carte consorziali,
Ma il marengo non vedo.
Non vedo il franco e il rame and’eran carchi
I nostri padri antichi. Or senza arredo
D’oro e d’argento vuote casse mostri.
Ohimè, quante cambiali
In lunga sofferenza!
E questo è peggio
Che tutte son di deputati nostri
Ricercanti il pareggio
Delle lor tasche, a spese
Del sempre mai diletto almo paese.
Tu, di forma sol vaga,
O Italia ipotecata,
Dormi tranquilla e paga
Sì, paga, Italia mia,
Le tasse a pagar nata
Nella prospera sorte e nella ria.
-Leopardi Risorto-