Senza parole è come si dovrebbe restare davanti a un’opera d’arte superba, in qualsia sua forma. Allucinati, stupiti, basiti, leggermente scioccati e sicuramente eccitati. Questo è quello che l’arte deve provocare, una opportuna sindrome di Stendhal. St Aubyn però è un cinico, raffinato autore e con Senza parole non intenderà il modo in cui vi lascerà non il suo libro (troppo semplicistico) ma ciò che nel suo libro si racconta.
L’Elysian Prize è un premio (inventato) letterario dedicato ai più grandi autori contemporanei di opere che esaltano la bellezza e i valori del popolo e della cultura scozzese. O almeno, questo è quello che vuole Malcom Craig, politico molto consumato che punta sulla gran serata finale, in cui il suo discorso d’annunciazione del premio verrà trasmesso in tv, per tornare alla ribalta. Nella difficilissima opera di selezione tra le 200 prove che gli scrittori inviano alla giuria, ci sono altri bislacchi personaggi, ognuno con la sua propria idea del premio – che è passato in mano cinese, tra l’altro. L’astuta giornalista, la professoressa un po’ frustrata di lettere, il bel teatrante navigato, l’ex factotum politica caduta in disgrazia, tutti loro tramano per il proprio libro.
E più che di alta letteratura e fini arzigogolii lirici, è proprio di trame che si parla in Senza Parole. Innanzitutto, trame alla Beautiful: lei va a letto con quello che è amico di quell’altro che lavora per lui che però è innamorato di lei e ha lasciato la moglie per. Non ci avete capito nulla? Poco importa, l’amore è fatto così. E dopo la trama rosa, c’è quella da spia, con il ricco indiano infiltratosi apposta per vendicarsi di un’ingiustizia subìta – a suo parere. Ingiustizia chiave per l’attribuzione del premio e lo sviluppo della trama generale, vedi scena finale. E poi c’è, anzi, ci sono, in maniera preponderante, tutti gli scrittori, coinvolti in prima persona e non, con i loro libri, il loro ego e le loro mille e uno paturnie, che si possono sostenere grazie soltanto all’agrodolce condimento della salsa caustica very british.
Un dilagare di intrighi politico-clientelari fa da padrona per questo premio, ma la critica di St Aubyn, per quanto molto sferzante, non è affatto amara: gli episodi che si susseguono si articolano con incantevole leggerezza in brevi capitoletti aventi per protagonisti ciascuno il proprio personaggio. E anche quando St Aubyn mostra la bassezza del mondo professionale cui appartiene, distruggendo le illusioni di quei puri di cuori che pensano ancora che la compagine di scrittori, editori e compagnia bella sia costituita da semidei solo perché capaci di scrivere parole intramontabili, l’ironia si riversa a fiumi sulle pagine del libro. E no, e no, sembra dire St Aubyn, dall’alto della pagina: nell’editoria lavorano brutte, bruttissime persone e i premi letterari spesse volte valgono per il prezzo – politico, sociale o meramente economico quasi mai artistico – che gli si attribuisce.
D’altronde, la gente che lavora nell’editoria e gli scrittori in generale, sono semplici persone; senza dimenticare che spesso queste persone vivono in un mondo in cui «la debolezza della sua posizione e la nebbiosità di prospettive che era assicurata dall’uso costante delle buone maniere, gli rendevano impossibile chiedere qualunque chiarimento, tanto meno dei soldi». Il che mi ha fatto riflettere e sospirare sulla triste condizione in cui versa l’editoria libraria, inclusa quella inglese. Mostrando i retroscena di un pur fittizio premio, St Aubyn si fa beffe di ogni etichetta, stravolge tutte le regole e mostra clichè e stereotipi del fatuo mondo dell’editoria e della cultura in generale, regalandoci un meraviglioso, sfrenato divertissement.
E in questo cambia decisamente genere e rotta, dato che St Aubyn è passato alle glorie per la serie dei Melrose (in Italia pubblicati da Neri Pozza in un unico tomo nel 2013), in cui ritrae la società inglese aristocratica cui appartiene, criticandola con infinito humour, ma anche rilasciando sconcertanti verità autobiografiche non proprio divertenti… Critica che ha ripreso in Senza Parole scimmiottando tutti i formalismi, per esempio, della serata finale o descrivendo la Zietta con Sonny e il suo ambaradan coloniale, decisamente retrò e superati, ma non per questo i personaggi sono meno convinti e coerenti con loro stessi.
Mentre scrivo questa recensione non posso fare a meno di pensare a quello che avrebbero scritto o detto Jo, Vanessa Shaw, Alan o Sam Black, del libro e della mia, di scrittura, inarcando la loro penna rossa e esercitando il loro diritto di voto, perché in Senza Parole è costante la parodia di recensioni, giudizi editoriali, note biblografiche e stralci di romanzi in fieri che i nostri non tardano a esaminare e bocciare, o esaltare stupidamente. Ma per fortuna, io non partecipo ad acun tipo di premio letterario; men che meno all’Elysian Prize!
Però noto il proliferare, sempre più frequente, di quelle simpatiche fascette su libri e novità che enumerano i premi già vinti dal romanzo e per cui stanno concorrendo… Che sia già tempo dello Strega?
Edward St Aubyn, Senza parole, Neri Pozza, 16 €