“Agli innocenti uccisi dalla follia del calcio.
Per non dimenticare mai che c’era una vita dietro i loro nomi.”
Con Senza paura, romanzo intenso e toccante ispirato a un tema di drammatica attualità, torna in libreria Flavio Pagano, lo scrittore napoletano che con Perdutamente - storia poetica e grottesca di una famiglia alle prese con l’Alzheimer uscita per Giunti nel 2013 – aveva messo d’accordo critica e pubblico.
Roma, 3 maggio 2014. Finale di Coppa Italia: Napoli-Fiorentina.Fuori dall’Olimpico Ciro Esposito, tifoso napoletano, viene ferito a colpi di pistola durante gli scontri fra ultrà locali e napoletani. La trattativa tra forze dell’ordine e tifoseria salva lo svolgimento della partita. Immagini che hanno fatto il giro del mondo.
Senza Paura è ispirato a quei fatti, alla morte di Ciro che ne seguì e al mondo degli ultrà. Da qui Pagano parte per aprire squarci di verità sulle dinamiche psicologiche e sociali del tifo sportivo e per frugare ancora una volta nelle pieghe più intime delle relazioni familiari. La vicenda ruota infatti intorno al complicato, drammatico rapporto tra Antonio – padre assente, sei giorni la settimana oscuro rappresentante di commercio ma la domenica selvaggio e carismatico capo della tifoseria napoletana – e suo figlio Bruno, orfano della madre, che anela inutilmente all’affetto paterno, alla normalità di una partita goduta insieme. Anche in risposta all’insostenibile gelosia verso la nuova famiglia del padre, Bruno coltiva un rapporto speciale con l’anziano nonno materno, voce narrante della vicenda, per il quale il calcio è ancora regole, cavalleria, «classe». Ex arbitro, egli sa bene che quel nobile mondo non esiste più; eppure, per giocare un ruolo nel (vuoto di) rapporto tra padre e figlio anche lui agirà la leva del calcio, divenendo così involontario motore del dramma: grazie a lui, per la prima volta Antonio e Bruno andranno insieme allo stadio, infilandosi in una trappola mortale.
E qui invenzione e realtà s’incontrano magistralmente. Abbiamo raggiunto l’autore Flavio Pagano per farci raccontare qualche aneddoto e informazione in più sul suo nuovo romanzo.
Come presenteresti ai lettori il tuo romanzo?
E’ nato dalla voglia di raccontare l’amore, la passione – e i suoi risvolti più oscuri – nell’unica forma che supera quella tra due persone: cioè il rapporto tra un tifoso e la sua squadra del cuore. Anche lì, nella passione folle del tifo, viene fuori qu ell’insaziabilità che sfocia nella violenza: non si è mai appagati, niente basta, niente ci dà certezza: e si arriva a uccidere. Come il marito geloso che uccide il rivale, il tifoso malato uccide l’avversario. Lo sfigura con l’acido. Perciò paragono il tifo, in occidente, a quello che è il fondamentalismo religioso in certe frange esasperate dell’islam.
ciro esposito è il simbolo di tutto questo: è l’innocente che muore senza ragione, è l’agnello sacrificato nel rito, è il milite ignoto dell’assurda guerra che continuamente, ovunque, si combatte intorno al calcio: uno sport meraviglioso e al tempo stesso mostruoso,perché niente lo ferma. Sono tali gli interessi che si muovono intorno al calcio, che neanche i 39 morti dell’Eysel (non mi ricordo come si scrive! ) fermarono una finale di coppa dei campioni… e non si esita a spostare i mondiale d’inverno pur di compiacere gli sceicchi che vogliono il Mondiale nel deserto, pur sapendo che nei cantieri che costruiranno le infrastrutture nel Quatar o dove sarà, gli operai lavoreranno nelle convizioni di schiavi, di servi della gleba. Insomma il calcio è una meravigliosa passione coperta di sangue e di vergogna.
Cosa ti ha impressionato della storia di Esposito?
Il libro va molto oltre la cronaca: io racconto i fatti, relativi alla morte di Ciro, ricostruendo fedelmente la dinamica, compresa la continuità fra ultrà romanisti e Mafia capitale, che tra l’altro con il mio quotidiano web siamo stati i primi a esaminare: l’ultrà di oggi è insomma anche “il bravo” (manzoniano) il braccio di un’organizzazione che ha ramificazioni ovunque, come la cupola malavitosa che abbiamo scoperto governare Roma…
Come hai ricostruito la storia?
Sono uno scrittore, e la cronaca non mi può bastare. Così ho incrociato la verità con la fiction: tutto accade come accadde, ma i personaggi sono diversi. Non volevo “ricostruire” Ciro: sarebbe stato flle, sbagliato. Così è nato Bruno (suo padre invece si chiama Antonio, come i due protagonisti del film “Ladri di biciclette“), l’adolescente innamorato di suo padre che è un ultrà all’ultimo stadio. Uni di quegli ultrà che non t’aspetti, che fa il rappresentante, ha una vita apparentemente normale,e una famiglia, etc. Però il suo incubo, la sua ossessione è il calcio: in questo vuoto suo figlio “cade”.
La madre, così importante nella vicenda di Ciro, qui non c’è: per rispetto del pudore e del dolore della famiglia vera.
Calcio e vita: connubio possibile?
Nella fiction del libro la mamma di Bruno è morta. La vicenda è raccontata dal nonno, che vede il calcio come non è più, legato a un mondo ormai tramontato. E poi c’è la fidanzata di Ciro, Na’weh, bellissima ragazza di colore, che dà a tutti, credo, una splendida lezione di sport, raccontato una storia di vita vissuta.