Magazine Diario personale
È vero, la rete è romantica. In effetti, è facilissimo innamorarsi di parole, citazioni, del piglio particolarmente interessante che alcuni profili esprimono pur rimanendo immobili nelle loro icone. È un’illusione tenerissima quella che nasce da un’e mail inaspettata e che d’improvviso svela qualcosa, un nascente tumulto, un possibile svago, un amore in potenza. Certo gli abitanti della rete di norma sono più diretti ma quelli non fanno testo, sono gli stessi che su un lungomare qualunque e con la luna piena, mentre tu cerchi di trovare la parola più giusta, t’invitano a casa loro per bere qualcosa. E voilà ecco che l’incanto si frantuma. Perché sì, abbiamo bisogno di qualcosa di più, di prolungare l’attesa, di scontornare un disegno che conosciamo a memoria e che pur con modalità diverse e incanti più o meno forti, arriva a darci sempre la sensazione del”dejà vu”. Sembra quasi un peccato incontrarsi dopo aver indugiato per notti intere su certe parole, dopo essersi avvolti dentro quel desiderio che è tutto nei punti di sospensione, negli spazi bianchi, nel non detto. D’altra parte i più grandi amori sono nati tra le parole, basti pensare a Paolo e Francesca, o all’amore non consumato di Dante per Beatrice e a ciò che ha prodotto: l’incanto per eccellenza. L’amore “cristallizzato” come lo definiva Stendhal, è l’amore perfetto, quello che con cura e dedizione creiamo a nostro piacimento definendone i contorni e lasciando zone d’ombra, tante, tutte quelle in cui infilarci i nostri sogni, i desideri inespressi e le attese, tutte quelle che ci pare. Tanto l’icona è sempre lì. Ogni tanto cambia ma sicuramente ci mostrerà sempre il suo profilo migliore. Va bene, siamo in un periodo di ravvedimento e di austerità. Dopo la barbarie del sesso bunga bunga in tanti chiediamo più rigore anche nell’espressione di un sentimento che sembra anch’esso un po’ liso a causa dell’abuso che se n’è fatto. Vogliamo in tanti ridargli colore e forza e tutto l’incanto perduto. La rete è perfetta per quest’operazione di restyling. Almeno così sembra. Il 2.0 è un luogo in cui gli amanti s’incontrano e si rincorrono, si nascondono e si palesano. Un post, uno “stato” o un “tweet” possono sancire l’inizio o il termine di una storia cyber romantica, un “mi piace” a un post insignificante è un chiaro segno di corteggiamento, quel riwittare continuo la possibilità che presto arriverà un messaggio diretto e chissà cos’altro. Per non parlare della musica, di quei brani messi in bella mostra e che nascondono richiami continui e sottotesti più significativi di mille sguardi. È una possibilità continua, un innamoramento continuo, una pacchia per i moderni romantici. La rete è perfetta per dar vita a quell’amore nascente che come dice benissimo il genetista Edoardo Boncinelli oggi più che mai ha bisogno di vezzi, paroline dolci, premure, attenzioni, scherzi innocenti, attese, piccole arrabbiature, riappacificazioni e gelosie. Perché il sesso non è tutto, il sesso si consuma presto e noi, invece, vorremmo che quel brulichio pungente che non ci dà tregua durasse “per sempre” o il più a lungo possibile. Il sesso nutre e consuma il nostro corpo ma noi, a forza d’ipotesi e possibilità, vogliamo stancare la nostra mente. La rete è, in effetti, un diaframma perfetto da usare per cautelarsi dalla noia. Non c’è bisogno nemmeno di uscire e andare a cena fuori per ingelosirsi furiosamente: basta vedere che l’oggetto del nostro desiderio è on line e chissà con chi chatta, basta andare a spiare tutti i profili dei possibili rivali e scoprirne alcuni con certe affinità pericolose, basta contare quanti “mi piace” l’odiato antagonista immaginario ha osato clikkare sulla pagina del nostro amato. Ma quanto dura? Sicuramente certa gente malata -e io sto di diritto tra quelli più gravi-, tra i cacciatori d’illusioni più accaniti, tra i cyber romantici più fedeli, la rete offre la possibilità di idealizzare l’oggetto del desiderio e avere storie che possono durare anche degli anni. Basta avere cura di cercare il soggetto più adatto, quello meno esplicito, più enigmatico e timido o semplicemente un po’ umorale e abbastanza impegnato nel lavoro e che sparisca spesso, per costruire, dal nulla, una storia che ci terrà svegli per dei mesi. Con le ipotesi che montiamo e smontiamo attorno a un rapporto univoco di questo genere si possono scrivere interi romanzi. Con tutte le email che abbiamo salvato nella cartella delle “bozze”, e che per fortuna non abbiamo mai osato spedire, accumuliamo tanto materiale epistolare che de Laclos impallidirebbe. Grazie a quello che Bauman chiama amore liquido, e che nasce dalla fragilità dei rapporti affettivi nel 2.0, questo sentimento, che in definitiva non fa che rimandare di continuo la fine dell’illusione, si può sopravvivere a qualunque vuoto affettivo, superare frustrazioni e lenire un bel po’ vecchie ferite. Stando romanticamente seduti dietro il monitor possiamo fingerci innamorati e sentirci paghi. La rete è un diaframma perfetto per nascondere o evitare di affrontare le nostre paure e il senso di inadeguatezza che invece, tanta libertà sessuale ha fatto nascere in molti di noi. Donne orchesse non oseranno mai più mettere in ridicolo l’uomo normodotato, quello pigro cui alla fine, fare sesso non piace poi così tanto. Perché il sesso, e per fortuna, per molti non viene al primo posto. E poi, mostrarsi nella propria nudità non è da tutti, soprattutto per chi ha provveduto a coltivare con più cura la propria mente tralasciando più che un po’ l’esercizio fisico e la tonicità del corpo. Inoltre, affrontare un incontro one to one è un vero casino. Lì, senza citazioni o brani o foto da postare siamo a rischio infarto. Il primo incontro poi non ne parliamo, è faticosissimo persino pensarci. Depilazioni, abiti, biancheria intima, massaggi, parrucchieri, psicoanalisti, amiche che chiamano, madri in ansia, dargliela subito o alla terza uscita, dargli tutto o solo una parte, aspettare e quanto, cosa dire, farlo salire, restare nel portone a pomiciare per un’ora e chissà cos’altro. Portarla a cena e dove, passare a prenderla o vedersi lì, andare al cinema o in un locale, fare i complimenti e quanti, metterle la mano sulla coscia o far finta di non tenerci troppo, aperitivo o dopo cena, centro o periferia, informale o elegante. Per non parlare del rischio di contrarre malattie che, in questo modo, è automaticamente azzerato. È un delirio da adolescenti che non possiamo più permetterci, un impegno che con la rete, da adulti, evitiamo volentieri di affrontare. E così, si gira e si gira attorno al nulla. Un amore circolare che non arriva mai al centro. Liberi d’inventare gesti e parole, esitazioni e assalti. Ed è questo che ci tiene svegli, un lavorio continuo d’immaginazione che si scatena attorno a un’icona, a qualcuno che con i mezzi che ha, mostra al mondo il meglio di sé, e che a vederlo così, in calzettoni e accappatoio che smanetta col computer sembra uguale identico al nostro ex, uguale identico a mille altri. Basta una serata tra amiche per scrivere un intero trattato sui pro e i contro del cyber innamoramento. Ci sono storie che nascono e muoiono e senza che ci sia mai stato un incontro off line. Siamo così distanti ormai da aver dato vita a una sorta cyber empatia che ci fa amare e sentire l’altro anche attraverso i pixel. È vero, io sono fortemente convinta di questo, non lo posso provare, ma secondo me è possibile che l’uomo stia sviluppando un settimo senso, un senso in grado di superare la barriera del monitor, una facoltà mentale in grado di percepire il sentimento dell’altro anche attraverso grandi distanze. L’amore si sente, lo dice anche Fossati. Frequentato da molti, da tutti quelli che, in fondo, hanno soltanto una paura fottuta di amare e di dare senza riserve, l’amore romantico 2.0, dà a molti un’opportunità in più per rimanere nell’attesa e illudersi di amare evitando così la naturale fine di un’illusione e la nascita di qualcosa di più solido e magari, perché no, definitivo.
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