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Seraphine ha le mani tozze e segnate.
Segnate da anni di lavoro duro ed umiliante.
Seraphine ha lo sguardo quasi inebetito, senza alcun barlume di intelligenza.
Seraphine si arrampica sugli alberi.
Seraphine è grassa e sgraziata.
Seraphine pare quasi un animale, è brutta, sporca, stupida e l'unico habitat nel quale si sente a suo agio è quello della natura libera e incontaminata.
Però Seraphine dipinge.
E lo fa meravigliosamente.
Questa è la vera storia di Seraphine de Senlis, una povera donna vissuta all'inizio del secolo scorso. Donna di pulizie di giorno, pittrice nella sua stanzetta la notte. Un giorno, per caso, un famoso collezionista d'arte dell'epoca arrivato a Senlis in villeggiatura, William Uhde, vede un suo piccolo dipinto abbandonato nella casa di un suo vicino. Scopre essere opera della sua donna delle pulizie, Seraphine. Uhde diventerà il suo mecenate ma la Grande Guerra prima e la Depressione dei primi anni 30 poi faranno sì che Uhde dovrà abbandonare Senlis più volte. Seraphine morirà sola in un istituto psichiatrico.
Questo è uno di quei classici film in cui del film ci importa poco o niente. Quello che conta è la meravigliosa storia che racconta, il privilegio di venire a conoscenza di una vicenda straordinaria e umanamente bellissima.
Ci racconta di una donna sola e povera con un'unica passione, la pittura. E' una pittura istintiva, primitiva ( chiamata naive nel settore), nessuna scuola, nessuna conoscenza, soltanto il desiderio di mettere su legno, tela, o qualsiasi altro materiale possibile qualcosa di sè, un esprimersi attraverso colori e forme. Seraphine usa di tutto, cera di candela, sangue di animali, fango e terra. Seraphine disegna soltanto fiori e piante, l'amore per la natura, così puro e atavico sostituisce quello per i suoi simili, gli uomini, dai quali Seraphine non ha mai ricevuto niente se non ordini ed umiliazioni. E' un' arte non destinata a vendere (anche se un pò di civetteria vendute le prime opere colpisce anche lei), non commissionata (se non dalla sua fede religiosa, come diceva Seraphine), è la vera arte, quella personale, quella che si sprigiona naturalmente dalle mani dell'artista come bisogno, come sfogo, come unico e vero momento di vita in un'esistenza che di vitale non ha niente. E' l'arte per sè.
L'interpretazione di Yolande Moreau è quanto di più grande il cinema moderno ci possa offrire. Una vera simbiosi con il personaggio, dallo sguardo, assente ma al tempo stesso dagli occhi chiari e svegli, fino alle movenze, goffe e sgraziate, a differenza delle mani, loro sì piene di grazia, che si muovono veloci sopra le tele. Il suo corpo massiccio, la sua personalità, la tragedia che sembra esserle scritta sul volto, sono tutto il film, il resto è contorno.
La pazzia finale, dovuta anche in parte alla delusione della partenza di Uhde, quel vagare tra i vicoli in abito da sposa, rimangono forse il momento migliore a livello cinematografico.
Anche se quel finale, quella sedia offerta per la seconda volta da Uhde, quella sedia che Seraphine porta lassù fino a quell'albero per poi sedervisi sopra è davvero un finale magnifico.
Non solo del film.
Anche per Seraphine.
( voto 7,5 )
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