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SERBIA: Vojvodina, l’autonomia negata

Creato il 19 aprile 2012 da Eastjournal @EaSTJournal

di Christian Eccher

SERBIA: Vojvodina, l’autonomia negata

In Vojvodina vivono più di 25 nazionalità e proprio questo elemento fa sì che la regione si distingua dal resto della Serbia. Non a caso, durante il socialismo, la Vojvodina era autonoma; da un giorno all’altro, Milošević cancellò l’autonomia e trasferì a Belgrado tutte le competenze politiche e fiscali che erano appartenute a Novi Sad. Il diritto all’autonomia è stato restituito tre anni fa dall’attuale governo democratico guidato dal premier Mirko Cvetković, ma è un diritto fittizio, un semplice spot pubblicitario che non ha contribuito a migliorare la vita dei cittadini della Vojvodina.

A Novi Sad esiste un Parlamento, le cui funzioni sono confuse. A settembre dell’anno scorso, l’emendamento sulle proprietà pubbliche (si trattava di stabilire quali edifici ed enti pubblici dovessero essere amministrati dal governo centrale e quali da quello della Vojvodina) è stato approvato in una maniera alquanto bizzarra: il premier della Vojvodina, Bojan Pajtić, un membro del partito democratico (DS) a cui appartengono anche Cvetković e l’ormai ex presidente della Repubblica serba Tadić, ha preferito evitare noiose discussioni in Parlamento, ha annullato la seduta prevista e si è accordato direttamente con Cvetković. I due non si sono neanche incontrati. Hanno risolto tutto in una decina di minuti, al telefono. I partiti che più di altri caldeggiano l’autonomia della Vojvodina, a cominciare dalla Lega degli ungheresi della Vojvodina (SVM), hanno gridato allo scandalo e hanno denunciato il governo centrale di non sapere neppure cosa voglia dire la parola “autonomia“. Dagli altri partiti, quasi tutti con sede centrale a Belgrado, si sono levate solo flebili proteste, che si sono rapidamente spente.

Il caso della legge sulle proprietà pubbliche ha semplicemente messo in luce un problema che esiste dall’epoca di Milošević, vale a dire il centralismo che caratterizza la scena politica serba e che in Vojvodina è riuscito a far tacere anche le anime più riottose e i più ardenti autonomisti. Il sistema elettorale della Vojvodina, infatti, penalizza i partiti regionali: la LSV – Lega socialdemocratica della Vojvodina, guidata dal carismatico Nenad Čanak – per esempio, è stata costretta per poter sopravvivere ad allearsi con i DS di Boris Tadić. Anche quando Pajić si è rifiutato di consultare il parlamento in occasione della legge sulle proprietà pubbliche, Čanak ha evitato di polemizzare con gli alleati. I DS dispongono di una maggiore visibilità e di un budget enorme per la campagna elettorale in quanto partito nazionale.

I piccoli partiti temono una campagna denigratoria nei loro confronti, a cui non potrebbero opporre resistenza per mancanza di fondi; in più, le formazioni politiche belgradesi controllano saldamente le dinamiche occupazionali nei posti pubblici e utilizzano il lavoro come arma per ottenere voti. I piccoli partiti possono resistere soltanto se i partiti più grandi rinunciano a una parte della torta e permettono loro di avere un margine di manovra, soprattutto nella distribuzione dei posti di lavoro.

Chi in Serbia parla apertamente di autonomia è un nemico convinto della patria, qualcuno da isolare perché prima o poi riconoscerà anche l’indipenza del Kosovo. L’equazione autonomia della Vojvodina-indipendenza del Kosovo è stata creata ad arte dai mezzi di comunicazione di massa per creare difficoltà a quanti – non solo in Vojvodina – vorrebbero che Belgrado allentasse la morsa centralistica sul paese. Di questo sono colpevoli gli intellettuali organici alla partitocrazia; i DS hanno in questo senso molte responsabilità, dato che hanno nepotisticamente impiegato nelle principali testate giornalistiche e televisive solo persone tesserate a un partito di governo (gli intellettuali hanno giocato un ruolo fondamentale anche durante le guerre degli anni Novanta: la politica di Milošević e quella di Tuđman in Croazia non avrebbero potuto essere attuate senza uno stuolo di giornalisti, professori universitari, scrittori, pronti a servire l’ideologia dominante. Chi dissentiva, come Predrag Matvejević in Croazia, sceglieva spesso la strada dell’asilo o dell’esilio proprio perché in patria si sentiva isolato).

Quali sono le conseguenze di quello che può essere definito il vassallaggio che Belgrado impone alla Vojvodina? La prima, e la più grave, è la scomparsa del ceto medio, che è sempre stato debole e modesto, ma che costituiva l’intellighenzia politicamente impegnata. Oggi, ogni nazionalità tende a rinchiudersi sempre di più in sé stessa, spaventata dagli sconvolgimenti che le guerre degli anni Novanta hanno causato. Il ceto medio di Novi Sad era plurietnico e sentiva di appartenere alla Vojvodina: adesso gli individui si schierano spesso per nazionalità e alcune di esse, come quella ungherese o quella rumena, sono molto litigiose al proprio interno. Il ceto medio è scomparso anche perché l’intera Vojvodina si è impoverita, un po’ a causa della guerra e un po’ a causa del fatto che la poca ricchezza prodotta dall’agricoltura e dall’industria è controllata da Belgrado. Come ho già detto, inoltre, per trovare lavoro è necessaria l’iscrizione a un partito, la cui sede è, ancora una volta, a Belgrado; ciò influenza notevolmente il corpo elettorale.

La seconda conseguenza è l’impoverimento delle zone rurali. I paesi che Maria Teresa fece radere al suolo per poi farli ricostruire secondo un piano urbanistico razionale e illuminato, si spopolano sempre di più: l’agricoltura non rende, i giovani si trasferiscono nei centri urbani se non, nel caso delle minoranze ungheresi e rumene, a Budapest o a Bucarest. Belgrado non fa nulla per fermare questo fenomeno.

La terza riguarda la sfera culturale: il governo centrale finanzia soltanto le istituzioni artistiche della capitale. A Novi Sad e a Sombor, dove c’è un teatro all’italiana architettonicamente prestigioso, i repertori sono asfittici, lontani anni luce da quelli presenti nel resto d’Europa. Novi Sad, una città che ha ormai 400.000 abitanti, non ha un’orchestra stabile e una stagione concertistica degna di questo nome: i Vojvođanski simfoničari (l’orchestra sinfonica della Vojvodina), diretti dal bravo maestro Berislav Skenderović, suonano 6 o 7 volte all’anno, quando e se ottengono i finanziamenti. Quanto detto non riguarda solo la Vojvodina, ma l’intera Serbia, con l’eccezione, ovviamente, di Belgrado.

La quarta conseguenza concerne le infrastrutture: la ferrovia che collega Novi Sad a Subotica, che si trova sulla trafficatissima linea Belgrado-Budapest, è a binario unico. Negli anni ’80 il treno percorreva i 90 km che separano Subotica e Novi Sad in un’ora e venti minuti. Oggi, l’intercity “Ivo Andrić” impiega più di 2 ore! Le linee ferroviarie secondarie sono impraticabili, ricoperte di erbacce e non più attive. Per raggiungere Novi Sad da Timisoara in treno e percorrere così poco più di 100 km ci vogliono 8-9 ore. Le strade comunali e provinciali sono strette e pericolose; l’autostrada Subotica-Belgrado, l’unica via di comunicazione relativamente veloce, è un cantiere a cielo aperto. In Vojvodina muoversi da ovest verso est e viceversa è una vera e propria impresa.

L’impressione è che il divario fra i partiti con sede a Belgrado e l’opinione pubblica in Vojvodina si vada allargando sempre di più, cosa che però sembra non tangere il governo centrale. L’autonomia negata e il malcontento per le difficili condizioni di vita stanno lasciando sempre più spazio a spinte indipendentiste, che però difficilmente si realizzeranno: la Vojvodina è ancora sotto l’anestesia degli anni ’90 e non ha una vita politica attiva. Belgrado, inoltre, dista solo 90 km da Novi Sad e non permetterebbe mai che la regione più ricca della Serbia si distacchi dal resto del paese. In questi giorni, però, è stato organizzato un incontro (la Quarta Convenzione della Vojvodina) in cui diversi membri della società civile chiedono di cambiare la Costituzione serba e che la Vojvodina venga proclamata Repubblica, non indipendente ma autonoma all’interno dello Stato serbo. All’incontro hanno partecipato anche il Presidente del Parlamento della Vojvodina Sandor Egeresi e il leader della SVM Balint Pastor.

A inizio maggio sono previste le elezioni politiche in tutta la Serbia. I favoriri in Vojvodina sono pur sempre i DS, ma non è escluso che facciano il pieno di voti anche LSV, SVM e Preokret, la coalizione guidata dal liberale Čedomir Jovanović che vuole lasciare il Kosovo al proprio destino di Repubblica indipendente.


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