Abbiamo avuto modo di scrivere molto sulla serendipity e sull’influenza che essa ha avuto sulle persone che, come Socrate, ascoltano la loro piccola voce interiore, che le blocca (il buon daimôn di Socrate), le mette in guardia o sulla giusta strada, gli propone un’occasione, o una possibilità, da prendere al volo. Ascoltando Platone: “Questo fenomeno appartiene… a una qualche manifestazione di un dio o di uno spirito divino che si manifesta in me… Qualcosa che è cominciato nella mia infanzia, una sorta di voce che, quando si lascia intendere, mi svia da quanto stavo per fare, senza tuttavia spingermi ad agire”. “Questo avvertimento abituale, dato dallo spirito divino, si fa sentire molto di frequente… e mi trattiene da propositi poco importanti, che non sarebbe bene assecondare”.
“E, dunque, né stamane, né quando stavo per uscire di casa, la voce divina mi ha trattenuto; né mentre parlavo, impedendomi di dire quanto stavo per dire”.
“Eppure, spesso, in altre circostanze, ella fa tacere molti dei miei propositi”.
“La voce è per me una prova decisiva del fatto che, quando mi ferma, lo fa solo perché ero sul punto di compiere qualcosa non andava bene”.
La serendipity ha a che fare con quelle situazioni in cui troviamo qualcuno o qualcosa per un fortuito caso, senza far nulla, come quando ritroviamo sulla strada o sul ciglio di un canale, in un paese sconosciuto, un portafogli, alleggerito del denaro, ma con l’indispensabile documento di riconoscimento. E questo ci porta a un incontro che potrebbe rivelarsi cruciale ed essenziale.
Tratto da Una malattia chiamata “genitori” - Anne Ancelin Schützenberger - Ghislain DevroedeDi Renzo Editore