Le cave piene di veleno
Quindicimila tonnellate di rifiuti tossici della Portovesme SRL sono stati sversati illecitamente in diversi siti del cagliaritano tra il 2005 e il 2007. È questa l’accusa, pesantissima, con la quale la procura della Repubblica di Cagliari nel gennaio 2010 ha chiesto il rinvio a giudizio dei vertici della Portovesme SRL e delle ditte che hanno preso in consegna i metalli pesanti tossici.
Arsenico, piombo, zinco, cadmio, rame, nichel, solfati, fluoruri (tutti rifiuti che non possono essere smaltiti in Sardegna), sono stati – secondo le indagini svolte dal nucleo operativo ecologico dei carabinieri su disposizione del sostituto della Procura della Repubblica di Cagliari, Daniele Caria - interrati in una cava delle campagne di Settimo San Pietro (località Su Paiolu) e in un terreno privato in località Trunconi a Serramanna, dov’è stato scavato un fosso talmente profondo da consentire l’ingresso degli autotreni. Inoltre, nella cava di Settimo San Pietro i rifiuti tossici sarebbero stati triturati e mischiati con terre di cava e detriti di demolizione per poi essere riutilizzati nella costruzione di sottofondi stradali negli spiazzi antistanti l’ospedale Businco di Cagliari e della cittadella sanitaria di Monserrato.
In questo modo la Portovesme srl avrebbe ottenuto un risparmio compreso tra i 585.000 e i 3 tre milioni e seicentomila euro riducendo drasticamente i costi aziendali di smaltimento (impossibile nell’Isola per questo genere di rifiuti).
Gli indagati
Con l’accusa di traffico illecito di rifiuti pericolosi, nel giugno 2010 (dopo tre anni di indagini) sono finiti in tribunale Massimo Pistoia 48 anni, cagliaritano residente a Monserrato, amministratore unico della Tecnoscavi, Aldo Zucca, cagliaritano residente a Gonnosfanadiga, 58 anni, responsabile del sistema Gestione ambientale della Portovesme, Maria Vittoria Asara, responsabile della gestione rifiuti dello stabilimento Portovesme srl, 39 anni di Ozieri residente a Sestu, il gestore della società Gap service srl Lamberto Barca 58 anni di San Giovanni Suergiu residente a Quartu, i dipendenti della Tecnoscavi Stefano Puggioni 24 anni di Cagliari residente a Quartu, Giampaolo Puggioni 59 anni di Quartu, Larbi El Oualladi 38 anni, marocchino residente a Selargius, il socio e coordinatore dell’area chimico-analitica del laboratorio di analisi Tecnochem srl Danilo Baldini 53 anni di Iglesias.
Ma Pistoia, Zucca, Barca e Baldini sono accusati anche di falso ideologico perché, su istigazione di Zucca e Barca, Baldini avrebbe prodotto un certificato di analisi dei rifiuti contenente false dichiarazioni su natura, provenienza e caratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti pericolosi provenienti dallo stabilimento della Portovesme srl.
Il processo
Il primo troncone del procedimento penale ha avuto inizio lo scorso 20 maggio 2011 al Tribunale di Cagliari e vede imputati Maria Vittoria Asara e Aldo Zucca (che hanno chiesto il rito abbreviato). L’udienza per gli altri imputati (rinviati a giudizio l’8 febbraio scorso) si terrà invece il prossimo 10 novembre 2011.
Gomorra è qui ?
Questa vicenda sembra la storia della negazione di valori come la tutela della salute dei cittadini, il rispetto dell’ambiente, la legalità e l’attenzione. Un’attenzione che, in particolare sul fronte delle cave, in Sardegna è pressoché assente, soprattutto da parte delle istituzioni locali (Comuni in primis) che non vogliono o non ritengono opportuno prendere posizione a difesa del proprio territorio e della salute dei propri concittadini.
L’incredibile immobilismo della politica traspare in filigrana dalla cronaca giudiziaria, la quale tinteggia un quadro davvero fosco, dove pseudo-imprenditori, assillati dal mito della riduzione dei costi, fanno un uso disinvolto del territorio, incuranti di stabilità idrogeologiche, beni culturali e, soprattutto, della salute dei cittadini. Facciamo qualche esempio.
Nel 2008 il Noe sequestra la cava di Sa Matta Manna a Marrubiu e un’area nella zona industriale di Santa Giusta: dentro vi si trova una quantità enorme di materiale recuperato dalle ruspe nel fondale del canale del porto di Oristano che sarebbe dovuta finire in un impianto apposito per il trattamento dei rifiuti speciali.
Nel 2009 l’autorità giudiziaria sequestra oltre 140 mila metri quadrati di cava a Monastir, e indaga su cinque persone sospettate di aver eseguito operazioni di cava in zona sottoposta a vincolo archeologico e paesaggistico. A Segariu 40 lavoratori protestano contro il fermo di una cava di calcare, disposto in seguito al ritrovamento di reperti archeologici. Ma come spesso accade, mentre “in basso” si litiga per un tozzo di pane, “in alto” si giocano le partite decisive per il territorio e la salute dei cittadini.
Segnali positivi
Certo, il quadro non è totalmente negativo: associazioni e comitati di cittadini come il Gruppo di intervento giuridico e Carlofortini preoccupati sono da tempo attivi per denunciare la distruzione e l’inquinamento sistematico del territorio regionale e per sensibilizzare la pubblica opinione anche sul versante delle cave. Ci sono persino comuni che, chiesto e ottenuto il finanziamento regionale, procedono alla bonifica delle cave.
Il processo Portovesme SRL ci dirà se nelle cave di Serramanna e Settimo San Pietro e a Cagliari siano stati effettivamente sversate sostanze tossiche e altamente nocive per la salute delle persone. E ci metterà, ancora una volta davanti ad un interrogativo scomodo e necessario: queste pratiche sono diffuse solo nei giardini “degli altri” o succede anche in quello di casa nostra?
Ai post l’ardua sentenza.