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di Rina Brundu. Ieri sera non ho visto l’intera puntata del programma di Michele Santoro, ma ne ho visto quel tanto che basta. Al netto del solito tentativo mediatico di cavalcare la protesta (in questo caso quella dei forconi, forconisti, macchinisti e affini), al netto della periodica ospitata di Vittorio Sgarbi (qualcuno può dirgli che mostrare cortesia per l’interlocutore mentre parla, fare almeno finta di essere interessati al suo discorso, non significa rinunciare al sacrosanto diritto di essere dei rompiballe?), al netto degli usati proclami del conduttore e delle spigolature travagliche, quel che è rimasto sul piatto è stato un qualcosa di sostanziale, condito con una sorta di salsa dickensiana difficile da dimenticare.
Mi ha colpito, per esempio, l’intervista all’ adepto incappucciato di Casa Pound. Oltre il suo scriteriato dire contro le forze dell’ordine, o forse proprio in virtù della gravità delle affermazioni che faceva, oltre il gioco mediatico e l’effetto teatrale che bisognava tenere in conto, mi hanno impressionato gli scampoli di una vita sofferta “confessati” con un’atroce franchezza nella certezza che nessuno gli avrebbe considerati degni abbastanza, che nessuno si sarebbe mai soffermato a prenderli sul serio. A preoccuparsene. Non senza ragione! Già mentre l’intervista andava in onda, su Twitter e sugli altri social gli spiriti grandi si stracciavano le vesti nella piazza (digitale), causa “l’onta”, “l’oltraggio” procurato dai vaneggiamenti dell’intervistato.
Se c’è qualcuno che avrebbe ogni diritto di sentirsi violato dalle affermazioni mandate in onda sarebbe forse un poliziotto, un rappresentante delle forze l’ordine, ma non certamente la “clac” perbenista twitteriana che si divide tra un’altra cazzata sparata in Rete e quattro avemarie dette senza pensare troppo per sciaquarsi lo spirito. Sovente, nei discorsi degli altri noi sentiamo soltanto ciò che vogliamo sentire. Al netto dei deliri teatralizzanti, ciò che mi è rimasto del discorso di quel ragazzo è che la madre è ammalata di cancro. E poi mi è rimasta dentro, e si è quasi attaccata all’anima, molta della sua disperazione interna; una disperazione che probabilmente non lacrimerà mai per conclamata diseducazione a farlo ma sfocerà in chissà quale gesto….disperato, appunto.
Sulla stessa linea vagamente struggente mi hanno colpito sia il personaggio Danilo Calvani (il leader del coordinamento nazionale 9 dicembre), sia i suoi discorsi. I suoi discorsi che nelle intenzioni avrebbero dovuto essere meditati proclami della ideale linea d’azione del movimento che cavalca la protesta contro il Sistema; i suoi discorsi che vaneggiano (temo che in questo caso proprio di vaneggiamento si tratti!), di un universo politico-civile utopistico, governato da un’etica vincente, sostenuto nelle dinamiche fondanti da un concreto e favoloso background culturale di cui, sempre secondo Calvani – il nostro Paese difetterebbe. I suoi discorsi retorici per forza; i suoi discorsi diventati mediatici un poco per fortuna un poco per capacità; i suoi discorsi che come nel caso delle “confessioni” dell’ultrà di Casa Pound, raccontavano anche scampoli di un’altra realtà, di una vita privata comunque difficile e dunque mettevano tristezza addosso, alla stregua di un Canto di Natale sui-generis. Suo malgrado, drammatico.
A sentire la prolusione alla puntata imbastita dallo stesso Santoro, la colpa dello status-quo potrebbe essere della sinistra che adesso abiterebbe i quartieri bene. Domanda: lui, no?
“Ci hanno preso per il culo con l’ideologia!” gridava, invece, un altro disperato senza nome perduto tra la folla e chissà perché ho pensato che in fondo quel forcone-lì non aveva tutti i torti…
Featured image, Charles Dickens.
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