Servizio pubblico - la verità

Creato il 16 marzo 2012 da Funicelli
Quanti cittadini (al di sopra di ogni sospetto) hanno avuto a che fare con la mafia ? - l'esordio della scorsa puntata di Servizio pubblico sulla strage di via D'Amelio.
Il riferimento era alla sentenza della Cassazione sul processo Dell'Utri: in risposta a Ferrara, Santoro ha ricordato che quando si tratta di condannare uno, si deve capire cosa ha fatto e perchè. Ma Riina e Dell'Utri devono essere trattati, nel processo allo stesso modo, secondo gli stessi criteri.
Santoro ha poi ricordato le parole di Libero Grassi, ucciso perchè lasciato solo nella sua denuncia delle complicità tra mafia e politica.
"Come si riconosce un buon politico? Basta vedere come ha raccolto i voti"
"Libero Grassi avrebbe voluto due cose: che ci fosse una legge che punisse chiunque avesse delle relazioni sistematiche con i mafiosi e che ci fosse una politica con delle regole per espellere i politici collusi"
Santoro, a proposito delle prove di colpevolezza contro Dell'Utri ha ricordato le parole del finanziere Rapisarda, presso cui lavorò per qualche anno Marcello dell'Utri e il fratello.
E parlò ai magistrati degli incontri di Dell'Utri con Stefano Bontade, parole a cui il senatore PDL ha risposto dicendo che nel palazzo di via del Perdono a Milano era Rapisarda ad incontrare la mafia.
E dove si è fatto il primo circolo di  Forza Italia? Proprio in via del Perdono. In un altro paese sarebbe stato il putiferio. In Italia l'opinione pubblica ha scelto proprio di votare Dell'Utri al Senato.
Il problema è che in Italia non esiste una stampa e dei TG indipendenti dalla politica e così la storia sono i Ferrara, mentre il servizio pubblico siamo noi, sfigati e poveretti.
La verità sulle stragi, la verità sulla trattativa stato mafia.
Le parole della moglie di Paolo Borsellino, sulle immagini del fumo di via D'Amelio

“Spesso usciva da solo per passeggiare o comprare le sigarette. Non volevano che fossero colpiti i suoi angeli custodi, la sua scorta. Ritengo che mio marito sia stato abbandonato al suo destino di morte. Quando andò a trovare sua madre, dissi che volevo andare con lui, ma mi rispose che era tardi e andava di fretta. Ci salutò come se stesse partendo. Perdono – dice Agnese Borsellino – solo coloro che mi dicono la verità. Dicano quel che sanno, abbiano il coraggio di dire perché hanno ucciso mio marito. Di fronte al coraggio io mi inchino: ho rispetto per chi si redime”.

In studio a parlare di Cosa nostra e stato, della trattativa e delle morti di Falcone  e Borsellino (e delle rispettive scorte), Salvatore Borsellino, Claudio Martelli, Walter Veltroni e in collegamento il magistrato Antonio Ingroia.
Salvatore Borsellino
“Da anni che dico che mio fratello è stato ucciso perché si è messo di traverso su una scellerata trattativa tra Mafia e pezzi di Stato. Quando si avvicina alla verità aumentano gli ostacoli e la resistenza affinchè la porta della verità venga aperta”.
E ancora: oggi i magistrati stanno cercando di togliere il velo nero che copre la verità e sentono la resistenza affinchè la porta rimanga chiusa: su tutte le stragi di stato si vede lo stesso meccanismo, depistaggi, coperture.
Io ho paura dell'incolumità fisica di questi magistrati che si occupano di quei fatti. Sento un clima pesante. È un momento in cui si passa da un potere a un altro.
Il fumetto di Walter Molino sui giorni della trattativa, da Capaci, al primo incontro tra Massimo Ciancimino e De Donno, le lacrime con i colleghi di Trapani "non ci posso credere, sono stato tradito da un amico", fino alla bomba in via D'Amelio il 16 luglio.
Veltroni, nel suo intervento, è partito dalla falsa confessione di Scarantino: "perchè si sarebbe autoaccusato della strage, perchè si è fatto 19 anni di carcere? Perché se l’ha spinto qualcuno dello Stato, la vicenda assume un’altra connotazione".
Veltroni ha messo in fila i fatti: l'agenda rossa rubata dall'auto del magistrato, gli attentati all'Addaura a Falcone, e poi la strage di Capaci (l'autostrada fatta saltare con 600 kg di esplosivo). La prima trattativa, la morte di Borsellino e la seconda parte della trattativa.
Le bombe del 93, che hanno un colore politico, perchè fuori dalla Sicilia e perchè è qualcuno a suggerirle a Cosa nostra.
Infine l'ultimo attentato, fallito forse o stoppato, allo stadio Olimpico il 23 gennaio 1994. Pochi giorni prima della discesa in campo di Berlusconi e dell'arresto dei fratelli Graviano (la famiglia responsabile delle bombe, secondo il racconto di Spatuzza).
Ingroia in collegamento da Chicago: “Dal buio e dal sangue di quella stagione non ci siamo ancora affrancati e non lo faremo finché non conosceremo la verità. Però la verità, quando è così difficile, quando non viene fuori, questo è dovuto al fatto che si tratta di una verità imbarazzante. Quindi non bastano i Magistrati per far uscire fuori la verità ma è il Paese che deve dimostrare di volerla sapere e finora ha dimostrato di non volerla sapere”.
Ingroia, in un momento così delicato per il paese e per l'indagine, ha voluto ribadire così la sua volontà di parlare, quasi un richiamo al paese affinchè non si dimentichi che la mafia esiste e anche la politica che con la mafia va a braccetto.
L'ex ministro Claudio Martelli, ha tirato in ballo l'ex ministro Conso, che si è assunto da solo la responsabilità di aver tolto a quasi 500 mafiosi il 41 bis, a soli 8 mesi dalle bombe di Falcone e Borsellino.
Conso ha agito da solo? Per assecondare l'ala moderata dentro Cosa Nostra? E chi glielo ha detto al ministro che esisteva un'ala moderata, favorevole alla trattativa?
Eppure pezzi dello stato, pochi mesi dopo le bombe, decisero di togliere il 42 bis: Martelli cita la riunione tra Mancino, Parisi, Amato (DAP), in cui lo stato decideva in modo unilaterale di autodisarmarsi.
“Due cose avevano il potere contro la mafia: la legge sui pentiti per garantire chi tradisce la mafia e il carcere duro. Eliminare il 41 bis significherebbe disarmare lo Stato con coseguenze gravissime”.
Santoro, durante la puntata, trasmette la deposizione audio che la moglie di Borsellino rilasciò ai magistrati di Caltanissetta il 27 gennaio 2010 e fa conoscere la figura dell’ex generale dei Ros, Antonio Subranni. Era il 15 luglio 1992, quattro giorni prima della strage. Paolo Borsellino e sua moglie Agnese, parlano sul balcone di casa, a Palermo. “Mio marito era sconvolto e mi disse testualmente: ‘Ho visto la mafia in diretta, perché mi hanno detto che il generale Subranni era punciutu’. […] E tre giorni dopo – continua Agnese – Paolo durante una passeggiata sul lungomare di Villagrazia di Carini mi disse che non sarebbe stata la mafia a ucciderlo, della quale non aveva paura, ma sarebbero stati i suoi colleghi e altri a permettere che ciò potesse accadere”. [presa da Il fatto quotidiano]
Nel secondo suo intervento, Ingroia ha commentato le sue parole, relative alla sentenza della Cassazione che ha annullato il processo d'Appello a Dell'Utri: "il problema non è il processo, ma l'imputato".
“I magistrati sono bravi solo o quando sono morti o quando si occupano di giustizia militare. Quando invece l’imputato è un personaggio più potente, contro di loro si scatena il diluvio”.
Questo è quanto successe anche a Falcone e Borsellino quando, dopo il maxi, alzarono il tiro sull'imprenditoria mafiosa e sui politici.
Oggi in carcere ci sono molti imputati per concorso esterno che sono piccoli imprenditori, piccoli amministratori e alla Cassazione è andato bene: solo quando l'imputato è potente, iniziano le polemiche.
E ancora: “Il rinvio della cassazione a Dell’Utri non significa che è innocente. In questo caso il procedimento si sarebbe chiuso definitivamente. Il rinvio è stato fatto solo perchè la motivazione non era valida. Si torna così alla condanna in primo grado a 9 anni di carcere, non a una dichiarazione di innocenza!”
Veltroni è tornato alla storia passata, forse in parte da riscrivere, da Piazza Fontana alle stragi di mafia del 92-93.
“Io non sono un dietrologo, ma più vado avanti più vengono fuori delle cose della storia d’Italia che mi fanno pensare di aver vissuto in un truman show in cui ci hanno raccontanto un sacco di balle”.
La mafia è sempre stata un pezzo del potere italiano: la crisi dei partiti, dopo la caduta del muro l'inchiesta di Mani Pulite, mise in crisi anche Cosa nostra, che cercò nuovi interlocutori.
Prima nei movimento locali delle leghe, e poi .. poi venne l'uomo nuovo, il partito nuovo. Quello che in Sicilia vinse 61 a zero.
Martelli, in risposta e in continuità con le parole di Veltroni sul ruolo dei servizi
“Nell’agosto 88 è certo che ci sia stata la combutta dei servizi segreti per l’attentato non riuscito a Falcone”.
Servizi e anche uomini della Questura di Palermo.
Che portarono a quella verità di comodo con la confessione pilotata di Scarantino, che portava lontano dai fratelli Graviano e i loro incontri milanesi.
E ora vogliamo la verità, anche dalla politica che ancora oggi sta pagando le cambiali di questi accordi con la mafia. Una cambiale, secondo Borsellino, pagata da sinistra e destra “Dopo la morte di Paolo, con i Governi che si sono succeduti sia di destra che di sinistra non abbiamo fatto altro che pagare delle cambiali, come la strage di Via dei Georgofili che è servita per alzare il prezzo della trattativa”.
L'intervista ad Angelo Provenzano.
Più intelligente di quello che vorrebbe apparire: cita la strage di  Portella e, come Riina, tira in ballo le responsabilità dello stato, per alzare un polverone che nasconde responsabilità e colpe.
Figlio di un mafioso, non riesce a pronunciare la parola mafia.


L'intervento di Marco Travaglio.


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