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Settantatre

Da Eraserhead
SettantatreIl taxi con a bordo i coniugi Mazzarino si arrampicava su per la piccola stradina asfaltata del monte fra l’incredulità del tassista che si domandava senza trovare risposta che cosa ci facessero nel cuore della notte due vecchietti in un luogo così disabitato, e il buio impenetrabile del bosco circostante che inghiottiva voracemente la luce degli abbaglianti.
La fatica del motore riempì il silenzio fra le tre persone nell’automobile fino a quando Walter Mazzarino non proferì educatamente: “Si fermi pure qui, grazie”. Pagarono il tassista che si allontanò con un certo sollievo, e i due rimasero fermi in un fluttuante mare di pece abitato da sfuggenti scricchiolii. Clara Mazzarino prese una torcia elettrica dalla sua borsa e la puntò sul bordo della strada.
“Un po’ più a destra – la accompagnò con la voce suo marito – ecco proprio lì!”
L’alone ricadeva su un angusto sentiero che si perdeva nella boscaglia oscura, la donna prese sottobraccio l’uomo e insieme si inoltrarono in quel nulla.
A mano a mano che procedevano, il sentiero si faceva sempre più impercettibile fino a quando non scomparve del tutto in una piccola piana ricoperta da felci alte anche un metro. Il signor Mazzarino fece alcuni passi tra gli arbusti avvolgenti e chiese alla moglie di puntare la pila verso di lui.
“Dovrebbe essere qui…”
“Sei sicuro caro? Hai contato i passi?”
“Sì, spero solo di ricordami bene.” Il bubbolio di un gufo sottolineò quest’ultima frase.
Allora l’uomo cominciò a strappare via le placide felci dalle radici sottili ma tenaci. Quando si liberò uno spazio sufficiente, la signora Mazzarino rischiarò il cerchio di terra sgombro; a quel punto l’uomo sospirò con tutti i suoi novant’anni e affondò le dita nel terriccio umido che svelava miriadi di impazziti vermiciattoli bianchi. E più gettava via manciate di terra, più ritornava indietro nel tempo, fino alle caverne della memoria dove 73 anni prima albergava il ricordo di una giornata primaverile dove Walter e Clara persero entrambi la verginità in quel posto che all’epoca era ancora una soleggiata radura.
La torcia iniziò a tossire, Clara Mazzarino negli istanti di luce vedeva suo marito affannarsi a gettare via pugni di terra nel vuoto.
“Ancora niente?”
“Forse…” La pila smise di funzionare in quell’istante. Calò l’oscurità più fitta che amplificava ogni rumore: un grillo camminava su una foglia secca, sembrava un gigante. Il vento smosse distratto le innumerevoli felci che in una danza sincronica ondeggiarono noncuranti verso sinistra.
“Forse… sento qualcosa…”
“Dio mio!” Si tappò la bocca Clara.
Walter Mazzarino si rimise in piedi con la fatica dei vecchi, restò immobile e poi chiese alla moglie se sentiva anche lei. Rispose di no, e così l’uomo portò all’orecchio della donna la sua mano sporca di terra che tratteneva qualcosa.
“Sembra, sembra un respiro, un battito, forse.” Fece Clara.
“Un battito.” Ripetè Walter.
“E ora cosa ne vuoi fare?”
“Lo sotterro di nuovo, è stato lì per 75 anni.”
“73.” Lo corresse lei.
Lui sorrise.
La torcia elettrica riprese magicamente a funzionare e i due si incamminarono di nuovo lungo il sentiero. Una volta giunti sulla strada videro le luci tremolanti della città in fondo alla valle e il signor Mazzarino disse: “Hai visto? Avevo ragione io, siamo ancora innamorati.”
La signora lo baciò sulla guancia e, ancora una volta insieme, cominciarono a discendere il monte.

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