Scritto da: Genny Sangiovanni 10 gennaio 2014 in Attualità, Cronaca, News Inserisci un commento
L’inchiesta sulla gestione dei rifiuti del Lazio ha portato all’arresto ai domiciliari, da parte dei carabinieri del Noe di Roma, di sette persone. Manlio Cerroni, il proprietario dell’area della discarica di Malagrotta, e Bruno Landi, l’ex presidente della Regione Lazio sono stati arrestati con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata al traffico di rifiuti. La procura di Roma ipotizza il reato di truffa ed ha disposto un sequestro equivalente a 18 milioni di euro per le società Giovi e Pontina ambiente, riferibili a Cerroni.
Tra gli arrestati anche il capo (fino al 2010) della Direzione regionale Energia Luca Fegatelli, il manager Francesco Rando, l’imprenditore Piero Giovi, Raniero De Filippis e Pino Sicignano.
Oltre agli arrestati, altre 14 persone inquisite tra cui l’ex governatore della Regione Lazio Piero Marrazzo, citato per abuso d’ufficio e falso insieme a Cerroni, dominus del consorzio Coema, al legale di Avillo Presutti e a Fegatelli, finiti sotto accusa per l’emanazione di un’ordinanza del 22 ottobre 2008 in cui si è ordinato alla Coema di iniziare la realizzazione dell’impianto di termovalorizzazione di Albano Laziale. L’ordinanza è illegittima considerando che il Commissario Straordinario aveva cessato i suo poter a fine giugno dello stesso anno ed il presidente della Regione (che formalmente ha emanato l’ordinanza) era già divenuto incompetente.
Marrazzo ha dichiarato, tramite il suo avvocato Luca Petrucci, quanto segue: “In merito alla notizie apparse sui media, riguardanti l’inchiesta sui rifiuti nel Lazio, non posso che dichiarare la mia totale estraneità dai fatti. Nel ribadire di avere sempre operato – da presidente della Regione Lazio e commissario ai rifiuti – nel massimo rispetto delle leggi, sono pronto sin da adesso a mettermi a disposizione degli organi competenti, magistratura e carabinieri del Noe, per chiarire ogni aspetto. Tutto questo nella convinzione che lo spirito di collaborazione sia un dovere per ogni cittadino nella difesa della legalità e della trasparenza”.
I militari del Nucleo operativo ecologico hanno condotto le indagine guidati dal colonnello Sergio De Caprio e coordinati dal capitano Pietro Rajola Pescarini.
Per l’indagine, svolta anche grazie al lavoro dei pm Alberto Galanti e Maria Cristina Palaia, sono stati riuniti in unico provvedimento quattro filoni, quello della gestione dell’impianto di raccolta e trattamento dei rifiuti di Albano Laziale, quello della costruzione dell’impianto di termovalorizzazione di Albano Laziale, la realizzazione di un invaso per una discarica a Monti dell’Ortaccio e la questione legata alle tariffe per lo smaltimento dei rifiuti e alle ordinanze regionali sullo smaltimento dei rifiuti ad Anzio e Nettuno.
In Monti dell’Ortaccio, per la realizzazione dell’invaso per una discarica, il gruppo Cerroni ha lavorato “simulando l’esistenza di titoli autorizzativi di fatto inesistenti” generando “un profitto per le casse di E.Giovi (società riconducibile al gruppo Cerroni), stimano in non meno di 8 milioni di euro”. Gli inquirenti affermano che “gli scavi venivano condotti al punto di abbassare la quota di fondo di scavo della cava Monti del Lumacaro (area adiacente a Monti dell’Ortaccio, parimenti oggetto di richiesta di autorizzazione per la discarica) al di sotto dei limiti consentiti, determinando così la illecita deviazione della falda acquifera sotterranea, appartenente al demanio idrico, e la creazione di un laghetto artificiale“. Il gip nell’ordinanza afferma che nella richiesta di autorizzazione per la realizzazione della discarica, il consorzio laziale rifiuti riconducibile a Cerroni, il “Colari operava una alterazione delle fotografie allegate alla richiesta, cancellando l’esistenza del laghetto al fine di non far risaltare il danno idrogeologico cagionato”.
Inoltre tonnellate di rifiuti differenziati finivano nell’indifferenziata discarica di Malagrotta, nonostante gli impianti di differenziazione incassassero milioni di euro. Con questo sistema Malagrotta poteva implicitamente essere dichiarata in costante emergenza perché, secondo l’accusa, nel conteggio delle cubature di spazzature finivano materiabile non definibile rifiuto tout court come il Cdr (combustibile da rifiuti) insieme a rifiuti riciclabili. La finta emergenza produceva altri affari e le amministrazioni dovevano trovare nuovi siti.
“Fatti di inaudita gravità anche per le dirette implicazioni sulla politica di gestione dei rifiuti e per le ricadute negative sulla collettività” spiega il gip Massimo Battistini.
Il magistrato fa anche riferimento ad una stabile struttura organizzativa ‘informale’ sovrapposta a quella formale delle società relative al gruppo imprenditoriale guidato da Cerroni.
repubblica.it
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