John Butler Yeats , Mary Lapsley Caughey
Era, credo, intorno al 1935.
Non erano molte le donne che lavoravano; soprattutto non molte erano le ragazze.
Mia madre era cresciuta orfana della sua, di mamme, con il solo padre, un nonno che non ho mai conosciuto, e i fratelli.
Un nonno che vedeva molto più in là del suo tempo e della sua generazione, che la fece studiare e volle che lavorasse.
Che capiva e diceva a chiare lettere che l'indipendenza economica era l'unico bene che le poteva lasciare e che lei ne aveva il diritto, ma anche il dovere, esattamente come i maschi.
Aveva le trecce lunghissime, mia madre. Fino a quel giorno in cui cominciò a lavorare.
Le dispiaceva tagliarle.
Ebbero un conciliabolo, lei, la sorella, una vicina di casa.
Optarono per tirarle semplicemente su: appuntargliele intorno alla testa, come una corona.
Mi restano delle foto: credo che abbiano voluto testimoniare quel momento, quasi un rito di iniziazione.
Per quella generazione, forse, i capelli corti, o legati, allontanati dal volto e dalle spalle, dovevano rappresentare una sorta di emancipazione.
Per questo credo che mia madre insistesse spesso per farmeli tagliare o per lgarmeli. Figurarsi, al tempo dei figli dei fiori! Sottanoni da zingara e capelli lunghissimi, non sentivamo altro.
Eppure anche per me c'è stata un rito di iniziazione al lavoro. Qualcosa che cercasse di sancire la tua distanza dal mondo cui eri appartenuta fino ad allora.
Io misi il rossetto.
Mai più messo da allora, non in modo sistematico, almeno. Ritengo di avere una bocca "difficile".
Ma in quel momento fu tutto quello che riuscii ad escogitare. Un dramma: me lo "mangiavo" strada facendo, mi dimenticavo di averlo, pochissimo pratico.
Mio marito, anche lui giovanissimo e per di più, già allora, un tipo che dimostra circa 10 anni meno di quelli che ha.....si fece crescere la barba.
Ma lui poi ci è rimasto affezionato e l'ha portata per più di 30 anni.
Insomma, anche l'ingresso nel mondo adulto vuole i suoi simboli.