1979. Esce “The great rock’n’roll swindle“, album dei Sex Pistols che fa anche da colonna sonora all’omonimo documentario sulla band (in italiano conosciuto come “La grande truffa del rock’n’roll“). All’interno del variegato album è contenuta Belsen was a gas. Il riferimento è al campo nazista di Bergen-Belsen e il testo è destinato a dare scandalo.
I Sex Pistols, tra svastiche e provocazioni
Non si tratta di una canzone nuova di zecca. A quanto pare la band l’ha suonata più volte già nel corso del 1977. La polemica, però, esplode quando la canzone viene pubblicata all’interno dell’album e di conseguenza è fruibile a un maggior numero di ascoltatori. Lo scandalo nasce sin dal titolo del brano. Se, infatti, l’espressione a gas potrebbe essere interpretata letteralmente e tradotta con “un gas”, allo stesso tempo bisogna ricordare che in quegli anni era spesso utilizzata nello slang con il significato di “forte, divertente”. E, leggendo il testo completo, la seconda ipotesi pare decisamente la più probabile. Belsen was a gas non è certo la prima canzone a parlare di nazismo e di campi di concentramento. Il problema non è il tema quanto il modo di affrontarlo: il testo è ironico, a detta di molti troppo ironico, al punto da abbandonare il crudo sarcasmo tipico del punk e sconfinare in un territorio pericoloso, più vicino alla celebrazione delle stragi naziste che alla dissacrazione di esse.
Le conseguenze sono piuttosto ovvie e prevedibili: l’opinione pubblica comincia ad associare il nome dei Sex Pistols e in generale del punk a quello del nazismo e molte associazioni ebraiche criticano pubblicamente il testo, giudicandolo dissacrante nei confronti di chi, a Bergen-Belsen, vi era morto. A questa situazione non giova il fatto che la band, e in particolare il bassista e icona Sid Vicious, indossi abitualmente capi con la svastica. Non sono gli unici a farlo; rappresentativo al riguardo è il primo festival punk organizzato dal 100 Club, nel 1976: il manager dei Sex Pistols Malcolm McLaren si era presentato con una serie di fasce naziste e subito la famosa Siouxsie dei Siouxsie and the Banshees e parte dei Sex Pistols le avevano indossate. Non si erano presentati sul palco con esse solamente perché il manager dei Clash e i Clash stessi avevano detto che se l’avessero fatto non avrebbero potuto utilizzare la loro strumentazione per il concerto, come precedentemente accordato.
Ma allora i Sex Pistols, e con loro altre personalità che gravitavano nello stesso ambiente, erano nazisti? No. E non è solo la palese incompatibilità tra l’ideologia nazista e la maggioranza delle correnti ideologiche punk (o comunque di quelle originarie di fine anni Settanta) a farlo affermare, quanto le dichiarazioni degli stessi personaggi tirati in causa. L’utilizzo di simboli quali la svastica e i riferimenti pesanti come quelli contenuti in Belsen was a gas è una provocazione. Nient’altro che una provocazione. Perché proprio la svastica, allora? Perché calcare la mano su uno degli eventi più tragici del Novecento? Proprio perché è stato uno degli eventi più tragici del Novecento. E perché è l’argomento che può sconvolgere e inorridire chi di dovere: la generazione che tiene in mano le redini dell’Inghilterra dell’epoca punk, quella che ha vissuto gli eventi della Seconda Guerra Mondiale e che è ritenuta responsabile della disastrosa Inghilterra degli anni Settanta.
La situazione inglese e la musica dei Sex Pistols
Dopotutto, quel “no future” urlato dall’ondata punk sarà pure dovuto nascere da qualche parte. E nell’Inghilterra degli anni Settanta è difficile vedere un futuro roseo. La caduta dell’Impero ha fatto ripiegare su se stessa la nazione, che ormai non può più vantare glorie colonialiste e presunta superiorità, ma solo guardare i propri disastri e crogiolarsi nel ricordo di un passato di cui, in molti casi, si dovrebbe vergognare. Il crollo del sistema di Bretton Woods (1971) e la crisi del petrolio contraddistinguono l’epoca dal punto di vista economico. La working class richiede salari più alti per una vita più dignitosa e le sue manifestazioni vengono spesso represse in modo violento. Come sovente accade nei periodi di declino e crisi, il National Front, partito di estrema destra, si rafforza. In una manifestazione contro di esso, tenutasi il 15 giugno 1974 a Londra, muore Kevin Gately, studente di matematica dell’università di Warwick. Era dal 1919 che in Inghilterra non si verificava un episodio del genere durante una dimostrazione. A tutto questo si mischia la questione irlandese e la minaccia dell’IRA.
Bergen Belsen. Photo credit: Drregor / Foter / CC BY-SA
La situazione sembra senza speranza. Lo spiega bene Margaret Drabble nel suo The Ice Age del 1977: “In tutto il paese ognuno incolpava qualcun altro per le cose che non funzionavano: i sindacati, il governo in carica, i lavoratori dell’automobile, i marinai, gli arabi, gli irlandesi, la propria indolente e incapace progenie, il sistema educativo. Nessuno sapeva di chi fosse in realtà la colpa ma quasi tutti si sforzavano, con poche giustificazioni, di lamentarsi di qualcuno”. I giovani che crescono in quest’ambiente e che vedono di fronte a sé un futuro incerto e preoccupante sono arrabbiati. Tutto ciò che spetta loro pare essere il caos di un paese in declino, e non per colpa loro. La rabbia è dunque indirizzata verso quelli che sentono come “i responsabili”, la generazione di cui sopra, quella che aveva vissuto la guerra, chi con lo sguardo di un bambino, chi con quello di un giovane adulto. Da qui la decisione di scandalizzarli toccando l’argomento sul quale scherzare e ironizzare era vietato: l’Olocausto. In particolare, la canzone Belsen was a gas cita il campo di concentramento più conosciuto dagli inglesi, in quanto liberato proprio dalla British Army. Gli orrori di Bergen-Belsen avevano toccato gli animi dell’intera Gran Bretagna tramite fotografie e racconti e il nome era quindi associato più di ogni altro allo sterminio nazista.
Sex Pistols “nazisti”: esagerazione o no?
Dunque è appurato: l’utilizzo da parte dei Sex Pistols di simboli nazisti e i riferimenti presenti in canzoni quali Belsen was a gas sono pure provocazioni e non fanno riferimento a simpatie personali della band nei confronti del pensiero nazista. Sarebbero da interpretare, insomma, come il verso iniziale “God save the Queen, the fascist regime” della canzone God save the Queen. L’idea è scandalizzare la classe benpensante che si riteneva artefice della disastrosa situazione inglese di quegli anni. La società doveva essere impressionata da quelle svastiche e da quelle parole e, a quanto pare, alla band non importava del rischio di essere realmente considerata nazista.
Per molti è esagerato: scandalizzare va bene, ma a tutto c’è un limite, e ci sono vari modi di farlo e di protestare. Gli orrori del nazismo sono ancora ben presenti nella memoria di chi li ha vissuti e nell’immaginario di chi è nato nei decenni successivi. Ci si ripete costantemente di non dimenticare per fare sì che non accada di nuovo ed è percepito come assurdo e oltraggioso l’utilizzo dei simboli che rappresentano tale sterminio. Il nazismo è uno di quei temi profondamente radicati nella mente e nella coscienza collettiva dell’uomo moderno al punto che un comportamento come quello dei Sex Pistols difficilmente viene percepito come accettabile. Impossibile stabilire se il movente della provocazione possa essere considerato una giustificazione, dato il carattere estremamente intimo che porta a considerare un dato comportamento come disturbante. La certezza è una sola: se i Sex Pistols volevano scandalizzare, hanno colpito nel segno.
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