Sezione Grandi Scrittori - Tema: William Saroyan

Da Svolgimento @svolgimento
Leggendo William Saroyan, mi è venuto da pensare alla letteratura e al perchè della stessa. La letteratura non è un abito da mettere per le occasioni buone, non è un rolex da mostrare in società, non è uno status symbol. Gli scrittori professorini, seduti in cattedra, mi hanno sempre fatto abbastanza ribrezzo.

Saroyan (1908-1981) è un armeno cresciuto in America, cresciuto in orfanotrofio, che ha fatto lavori sporchi – tanti lavori sporchi – e che ha conosciuto il popolo da vicino. La gente comune, l’ignoranza, la stupidità se volete. Ma la gente vera, non gli arditi intellettuali che trancian pezzi e manuali e poi stremati fanno cure di cinismo. Saroyan conosce i sapori e gli odori della vita vera, conosce la città – sporca e puzzolente se volete. Conosce le giornate piegato in due a zappare, conosce la fame nera e i topi che ballano sul tavolo della miseria.Da un po’ di tempo sto vivendo la mia personalissima Scoperta dell’America. Prima leggevo solamente francesi o italiani o russi o roba comunque che puzzava di intellettualismo a km di distanza. Gli autori dovevano essere pure mezzi filosofi, altrimenti non c’era gusto. Poi ho Scoperto l’America e tutto è cambiato.L’America, questo immenso meraviglioso inquietante Esperimento Umano. L’America del meticciato a priori, delle bizzarre fusioni di culture, dei contrasti a prescindere. L’America pericolosa per forza di cose, rozza e bastarda per partito preso. Nessuna purezza, mi raccomando.Nessuna terra offre più spunti narrativi dell’America. Tutti questi popoli ficcati lì dentro, tutte queste stratificazioni, tensioni pronte a esplodere. Gente diversa costretta a vivere gomito a gomito. Scontri, conflitti, inaspettate sintesi. Penso agli italiani terrorizzati dagli immigrati. Penso che non abbiamo visto niente.E Saroyan intanto scrive. Racconta le piccole cose che vede, le sue intuizioni, mette su carta il sudore, gli umori, la vita vera. Il realismo, la semplicità della scrittura, il suo incedere biblico, l’assolutezza che ha fatto impazzire Vittorini (che lo ha tradotto e lanciato in Italia).Saroyan – scrive infatti, nel ’42 – non ha fatti da narrare, situazioni da svolgere, ma cose da dire, e i personaggi non lo interessano che come simboli delle cose che ha da dire. La sua ispirazione è lirica. La sua composizione è uno sfogo lirico”.E temi universali, come la terra lontana. L’emigrazione che è condizione di vita, la nostalgia per un popolo che quasi non esiste più, quasi annientato dai rivolgimenti storici. L’irraggiungibilità da una Terra Promessa che è simbolo di una vita autentica, giusta, felice. 

Una condizione universale, in America. Dove tutti sono immigrati. Nessuno è a casa. 
E l’utopia finale. L’utopia di un uomo che sia libero dalle contingenze. Dallo spazio e dal tempo. Dalla storia. Da nostalgie, popoli e Terre Promesse. Un uomo che sia autosufficiente, che affronti l’ambiente sociale, le forzature storiche, da pari a pari. “Voglio ricondurre – scrive Saroyan – l’uomo a se stesso: trarlo fuori dalla folla e restituirlo al proprio corpo e alla propria anima, alla cronaca verace del genere umano. Voglio che sia se stesso”.
NF
Citazioni da William Saroyam:
Tornando da scuola Clarence aveva sognato avventure, e sentito con malinconia come tutto fosse stupido nella sua vita, e aveva dato calci ai ciottoli lungo il marciapiede e la strada sognando avventure e soffrendo di essere un piccolo ragazzo che doveva andare a scuola ogni giorno e non poteva mai fare nulla di grande.
La signorina Gamma diceva che avevo bisogno di tagliarmi i capelli, mia madre diceva che avevo bisogno di tagliarmi i capelli, mio fratello Krikor diceva che avevo bisogno di tagliarmi i capelli; tutti volevano che andassi a tagliarmi i capelli…
Ero contento che tutti ce l’avessero con me per i miei capelli, ma un giorno un passero cercò di farsi il nido nella mia testa; così corsi da un barbiere.

Che ve ne sembra dell’America?”, 1970

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