Una perdita secca stimata tra i 3 e i 4 miliardi di Euro, quando non si trova un miliardo per scongiurare l’aumento dell’Iva, dopo la sciaugurata operazione Imu. Tanto è costata allo Stato la strumentalizzazione propagandista portata avanti con efficacia da Berlusconi nel 2008. Grazie alle sue spregiudicate manovre parlamentari, riuscì a far cadere Prodi prima che venisse chiuso il dossier Alitalia. La compagnia di banderia, cronicamente in crisi, doveva essere salvata. Si fece avanti Air France, ma ancor prima che venisse aperto il tavolo con il Governo, Berlusconi iniziò a battere costantemente sul tasto dello sciovinismo, sostenendo l’imperativo di mantenere la compagnia di bandiera.
I francesi che avevano proposto un’offerta difficilmente rifiutabile (un miliardo di investimento più un miliardo e mezzo a parziale appianamento del debito, oltre a concessioni morali quali il mantenimento della bandiera), vista l’ostilità del molto probabile vincitore delle imminenti elezioni, si sfilarono dall’affare. A quel punto, l’ex cavaliere, ormai divenuto premier per la terza volta, iniziò ad annunciare la famigerata cordata di capitani coraggiosi sotto l’ala protettiva dell’immancabile Roberto Colaninno, già protagonista della liquidazione Telecom, per la quale, per par condicio, bisognerebbe chiedere conto a Massimo D’Alema.
I capitani coraggiosi investirono un miliardo, ma non si accollarono un euro di debito. Ergo, in partenza, lo Stato ci rimise un miliardo e mezzo. Inoltre, nonostante gli ammodernamenti fatti in questi cinque anni, la compagnia è rimasta costantemente in rosso, tanto che ora sta nella condizione di dover trovare alcune centinaia di milioni di Euro con urgenza, per continuare a garantire la regolarità dei voli. Da qui le trattative per la cessione, con la compagnia degli emirati Arabi che ha smentito l’interessamento e i francesi che, dopo essersi detti non interessati, hanno avanzato una proposta: un miliardo di investimenti ma non un Euro di debito. Ergo, in assenza di improbabili proposte più allettanti, lo Stato dovrà accollarsi un’altra volta il debito.