Inizia così la storia del dipinto forse più noto di Manet, la Colazione sull'erba.

Non ottiene un'accoglienza più calorosa l'altra opera che Manet realizza nello stesso anno, il ritratto di donna nuda intitolato Olympia, il cui soggetto è evidentemente una prostituta parigina reduce da una notte di passione alla quale vengono porti da una serva i doni floreali di un amante. Anche Olympia, come l'anonima donna in primo piano nella Colazione, fissa lo spettatore del dipinto.
La volontà dell'artista di stabilire un rapporto diretto fra lo spettatore e lo sguardo della donna, quindi con la donna stessa, deve aver colpito profondamente la società parigina: l'attenzione del pubblico è evidentemente attratta dagli occhi delle protagoniste nude dei due dipinti e distolto con prepotenza dagli altri elementi.
Certo, non è la prima volta che l'arte ospita figure di nudi femminili, ma quelli ritratti da Manet non sono corpi di divinità, né di giovani e morigerate borghesi, bensì di cortigiane che si mantengono grazie alla loro bellezza e al loro fascino, che esercitano non solo sugli amanti raffigurati accanto a loro (come nella Colazione) o solo evocati (dal mazzo di fiori di Olympia), ma, proprio attraverso quell'apostrofe silenziosa, anche a coloro che stanno dall'altra parte della tela.

Entrambi i dipinti si ispirano a originali rinascimentali, il primo al Concerto campestre di Tiziano o Giorgione del Louvre (1510), il secondo alla Venere di Urbino di Tiziano (1538), ammirabile agli Uffizi, eppure evocano una concretezza che è estranea alle idealizzazioni dei loro modelli: gli sguardi delle donne di Manet stabiliscono un rapporto che impedisce qualsiasi astrazione, che radicano lo spettatore alla realtà sociale in cui vive. Gli occhi di Olympia e della bagnante nuda sono un richiamo alla coscienza, l'invito a non nascondersi dietro le apparenza, una sfida ad affermare una vita lontana da qualsiasi idealizzazione, ma ugualmente meritevole di far parte dell'arte.
C.M.
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