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SHARE ONE DAY ovvero IL MIO CUSTODE

Da Vale
Cara Palmy, mi accorgo solo ora che già con passati dieci giorni dal lancio del tuo Share One Day. Ma il tempo mi sfugge, sempre più. Mi sembra di correre sempre più velocemente, ma di non arrivare comunque mai.
Io mi sposto in macchina. Lo so, non è eco, per niente. Ma quando abiti in una piccola cittadina in collina, beh, tutto diventa più difficile. Anche perché noi portiamo i nostri bambini in un altro comune a scuola. Quindi la mattina scavalchiamo la collina, uno di noi a turno accompagna i due bambini più grandi mentre l'altro accompagna il più piccolo dalla nonna. E poi di nuovo su e giù per andare a lavorare.
Il nostro primo incontro è con un ragno mostruoso. Che però sta lì, immobile. Diciamo che è diventato il guardiamo della strada lunga. Quando piove è più pauroso.
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Poi arriviamo nel punto che amo di più. Si percorre una curva verso destra e alla fine si apre un campo con una cascina sullo sfondo. 
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La tipica cascina lombarda. Davanti il campo di mais. Dietro i boschi. E di fronte un altro bosco recintato che in questi giorni si presenta così.

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Timide primule...

E così ricomincio lo scollinamento. Non ho fotografato le strade zeppe, i marciapiedi rotti, nè i centri commerciali ancora chiusi a quell'ora. L'ho guardata e riguardata in questi giorni, e solo rivedendo le fotografie che ho fatto per il post che mi accorgo di aver scelto i bordi della città. Di preferire la periferia che si mischia con i prati e i boschi, di notare e annotare i cambiamenti delle stagioni attraverso la strada che mi porta al lavoro.
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Tra poche settimane questa strada che mi porta in ufficio sarà verde smeraldo. Là in fondo ci sono i capannoni brianzoli, grigi prefabbricati. Quelli piccoli tutti in fila. Ma fin quando non si vedono, molto spesso m'immagino che la strada sia immersa nel verde per chilometri e chilometri. M'immagino come doveva essere la Brianza che mi raccontava mia nonna che invece veniva da Milano, nel primo dopoguerra.E poi, Palmy, ti svelo un segreto. Io ho un custode.
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In fondo alla casa bianca c'è un tavolo vecchio con sopra una tovaglia di plastica sbiadita. Io me la immagino così. Sopra il tavolo c'è un tetto di legno e poi una panchina, e due sedie spaiate, figlie di traslochi e di soffitte impolverate. Nel prato davanti dorme sempre un gatto bianco e nero. Lo vedi perché è enorme. E vicino le galline scorrazzano. Tutto questo lo vedi, anche se passi in macchina, perché quelle due case sono affascinanti, col trattore sotto il portico e la legna ben accatastata. Nelle belle giornate, seduto sulla panchina c'è un signore anziano col cappello. Guarda il gatto? Guarda me? Guarda me e il gatto. Così m'immagino io. Io passo e vado, ma so che lui è lì e questo in qualche modo mi rassicura. Servono a questo i custodi, no?

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