Lei (Photo credit: limetom)
Ero ferma ad attendere il bus in città, stamattina, ad una pensilina presso cui c’è un viavai continuo di gente: scolari, lavoratori, e bus in brulicare irregolare e vociante. Tanti bus arancio portano la vita all’interno della città, come pompati da un cuore dentro le arterie grigie; tra un poco le luci si spengono.
Si ferma un bus -non è il mio- e osservo la gente affacciata come da dietro la vetrina di un negozio o di un grande zoo da cui si può osservare e catalogare il comportamento umano. Gente che dorme, gente che ascolta trasognata l’i-pod senza avvertire o percepire l’esterno, gente assorta nei propri pensieri come in una coperta di Linus (sono ancora le 7 di mattina…), gente che guarda il proprio riflesso e si studia la vita e il futuro in base alla piega del ciuffo o all’espressione ricurva degli occhi…
Osservo. Loro non mi vedono.
A un certo punto mi si stringe il cuore e mi si contorce il più profondo delle viscere in una morsa inspiegabile. Un uomo sulla quarantina sta seduto con in braccio una ragazzina- avrà avuto 16 anni. Lei sembra voler nascondere il viso e lui le passa insistentemente le mani sul volto. Lei, la posizione di chiusura, lui non riesco nemmeno a guardarlo.
Quali sogni infranti dentro quello zaino di scuola, quali pensieri, quale grande amarezza…
Non posso far niente, il bus riparte; gli altri- forse- non possono far niente come me. Forse nemmeno vedono. Ma la corsa del destino è già partita e non può ritornare.
Penso a quella ragazza stasera, negando a se stessa o spegnendo il cellulare; penso al rimescolio di sensazioni e al sentirsi inadeguata… penso, e scrivo, per liberarmi da una lacrima e da qualcosa che non so spiegare…