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Shelter – Identità paranormali (di Måns Mårlind e Björn Stein, 2010)

Creato il 24 marzo 2012 da Iltondi @iltondi

La psichiatra forense Cara Jessup (Julianne Moore) è convinta che le personalità multiple non esistano e che ogni caso di sospetta dissociazione dell’identità possa essere frutto di un’abile finzione, oppure nasconda altre patologie. Questo fino a quando il padre, anch’egli psichiatra, le sottopone un caso estremamente complesso: il mansueto David Bernburg (Jonathan Rhys-Meyers), giovane costretto su una sedia a rotelle, fa posto all’alter ego Adam Saber, aggressivo e scontroso, ma soprattutto… in grado di alzarsi sulle proprie gambe senza problemi. La cosa si complica ulteriormente quando la dottoressa scopre che il vero David Bernburg è in realtà morto da anni, peraltro vittima di un omicidio. Shelter – Identità paranormali (di Måns Mårlind e Björn Stein, 2010)

Se c’è un tema che il cinema thriller non ha mancato di indagare, quello è il disturbo dissociativo dell’identità (conosciuto più comunemente col nome di disturbo di personalità multipla). E se, soprattutto negli anni 90, la filmografia su questo argomento si è arricchita in maniera notevole (per esempio, Doppia personalità del maestro Brian De Palma, ma anche Schegge di paura, Fight Club e diversi altri titoli), nell’ultimi tempi sceneggiatori e cineasti vari hanno preferito non esaurire del tutto la tematica. Di recente, però, con questo Shelter (Identità paranormali l’immancabile sottotitolo italiano), il duo svedese Mårlind e Stein ha provato a dargli nuova linfa. Fallendo, bisogna dirlo. Oggettivamente, il loro film risulta un prodotto confuso, incompleto, raffazzonato. L’impasto thriller non convince, anche perché cede presto il passo a spunti horror che non riescono a incidere. I percorsi teologici intrapresi, poi, conducono a un bivio di natura manichea (sintetizzando: la strega buona e il demone cattivo, entrambi esperti “succhiatori di anime”) che si completa (si fa per dire, perché comuque il film rimane irrisolto) con la banalità del male. Eppure lo stile registico rigoroso e le ambientazioni cupe potevano risollevare la qualità finale del film. Ma una pessima sceneggiatura basta e avanza ad ammazzare ogni buona intenzione. Rhys-Meyers non demerita affatto; per farsi le ossa si passa anche attraverso pellicole come queste. Julianne Moore invece fa il compitino; da lei ci si può, anzi ci si deve, aspettare di più.



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