Arrivo un po’ in ritardo sul commento della puntata, che per inciso ho visto tipo tre giorni fa, ma che volevo interiorizzare meglio prima di scriverci su. Puntata a parte, infatti, questa terza serie di Sherlock nasconde qualcosa che spero non sia sfuggito ai più: è molto diversa dalle prime due. In che senso? Ovvio, questa serie spesso e volentieri fa sogghignare o ridere, mentre le prime due serie difficilmente trovavano dei momenti di ilarità così facili come questa stagione. E allora ci inizia a chiedere il perché di questo cambiamento, cosa c’è di diverso rispetto al 2012 tanto da modificare il paradigma della serie stessa? Ovvio, sono cambiati i fan. Il “problema” è lo stesso che si è presentato con Doctor Who diversi anni fa: arrivano i fandom di screaming girl impazzite e il concept cambia, senza alcun motivo apparente tra le altre cose. Col rischio di apparire un vecchio sputa sentenze, però, continuo a puntare il dito verso una persona sola, sia si parli di Sherlock sia si parli di Doctor Who: Steven Moffat.
Non fraintendetemi però, la qualità dello show non è diminuita, anzi questo secondo episodio è davvero molto bello e in un’occasione porta “quasi” ai lacrimoni. Complice, si suppone, la presenza alla sceneggiatura di Mark Gattis (che nella serie interpreta anche Mycroft Holmes) che ha scritto interamente l’episodio di premiere e ha collaborato nella stesura di questa seconda puntata. Il problema che sta alla base, però, è che il fandom ha scoperto la serie proprio durante l’anno in cui non è andata in onda, ringalluzzendo lo spirito goliardico di Moffat, proprio come accade dalla sesta serie di Doctor Who in poi. Gattis fortunatamente è un ottimo sceneggiatore quando si parla di Sherlock (meno buono quando si tratta di scrivere storie del Dottore, purtroppo).
Il secondo episodio, come sempre, parte da un titolo ispirato e leggermente modificato di una storia di Conan Doyle. The signs of three, infatti, è riferibile a the signs of four secondo romanzo in cui compare l’investigatore di Baker Street e primo in cui compare anche Mary Morstan, futura moglie del Dottor Watson. Nel romanzo compare anche un altro personaggio, Sholto, che ovviamente è presente nella puntata nella veste di potenziale vittima.Come mi è stato fatto giustamente notare, solitamente la seconda puntata della serie era sempre quella un po’ più “moscia”, ma non stavolta. The signs of three (che diciamocelo ci ricorda anche la puntata di Doctor Who the power of three) è una serie infinita di Sherlock’s moment. Storie, deduzioni e avventure sullo sfondo del matrimonio tra John e Mary. Veramente ben riuscita e realizzata, anche se continuano a stonare un po’ quei siparietti inseriti a forza nello show.