Vittima di un attacco condotto per errore dal suo stesso esercito, il tenente Terry Glass, unico superstite della sua squadra, viene rimpatriato dall’Iraq per le cure e la riabilitazione necessarie. I tentativi infruttuosi di fare chiarezza sulle responsabilità dell’accaduto e di recuperare il rapporto con la propria famiglia lo spingono in un vortice di disperazione dal quale la sola via di fuga sembra essere il ritorno nella zona di guerra.
La sobrietà e l’accuratezza del racconto, che dettaglia luoghi e date (la vicenda si svolge tra l’aprile del 2003 e il giugno 2004) si alterna con momenti, fortunatamente brevi, in cui la retorica, patriottica e virile più che militare, si impone.
Metà atto di accusa nei confronti delle logiche e delle necessità militari e metà celebrazione del cameratismo e del coraggio guerresco, Shooters convince soprattutto quando descrive lo spaesamento e la solitudine di chi per mestiere fa il soldato, afflitto dalla sostanziale impossibilità di condividere il proprio lavoro con le persone “normali”, famiglia inclusa. L’intreccio, non particolarmente avvincente, è letteralmente scandito dalle esplosioni, umorali e non, che affliggono il protagonista, la cui vicenda riesce comunque a suscitare empatia soprattutto per la caratterizzazione efficace del contesto nel quale di trova ad agire. Visto l’argomento è inevitabile, purtroppo, il finale dai toni retorici e moraleggianti, oltretutto poco credibile e quindi ancora più infelice, in una storia che fa del realismo il suo miglior pregio.