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Shopaholic

Da Danielevecchiotti @danivecchiotti

La prossima volta che verrò a Londra per una settimana dovrò ricordarmi di portare quei cinque-seicentomila euro da spendere in beni di prima necessità quali libri, biglietti per il teatro, scarpe e vestiti.
A trascorrere qualche giorno tra Oxford, Regent e Carnaby Street si capisce come questa città possa aver offerto lo spunto per quel geniale capolavoro del trash contemporaneo che è “Shopaholic” di Sophie Kinsella.
Qui le vetrine hanno una forza attrattiva demoniaca, e riescono a far apparire come indispensabile anche il totalmente inutile. E il richiamo dell’offerta speciale, della campagna “half-price” è così efficace e convincente che ieri da Waterstones stavo quasi per finire alla cassa con l’autobiografia di Susan Boyle. Persino quella mi sembrava irrinunciabile (poi, per fortuna, ce lo fatta a risvegliarmi dall’ipnosi ed autocontrollarmi).
Ma la tentazione è sempre fortissima. Su una valanga di titoli le catene di librerie propongono il 3x2 come da noi fa solo il LIDL; HMV riversa sui suo scaffali liste infinite di cd e dvd a 3 o 4 sterline, e per coscienze sensibili e poco strutturate come la mia tutto ciò ha lo stesso suono dolce del canto delle sirene.
La domenica – poi - un fanatico del vintage quale sono un saltino a Camden Town deve farlo per forza, e di nuovo ecco il sapore dell’offerta unica e irripetibile. D’altronde, questo bazaar - in cui tutto ciò che è uscito da vecchie cantine odorose di muffa si ricicla e torna ad essere bene prezioso - è il regno assoluto dell’ora-o-mai-più, dell’abito anni ’60 che ti sta a pennello e che non puoi trovare in altro posto che qui, di quella sensazione di occasione hic et nunc (no.. non è inglese.. è latino) che la cogli oggi oppure sarà persa per sempre.
E la sera (ogni sera) ci sono i teatri del West-End. Il cartellone dei musical – si sa – è ricco come da nessun’altra parte al mondo Broadway esclusa e, a leggere gli enormi cartelloni pubblicitari dei “Discount-Box-Offices”, tutti sono lo spettacolo migliore dell’anno, il più grande successo di sempre, lo show che ha vinto più premi di tutte le galassie, in scena ininterrottamente da tre secoli, e allora come si fa a non cercare di vederne il maggior numero possibile?
Insomma a Londra si hanno due possibilità: o si sceglie l’ascetismo completo, si rinuncia a tutto, si diventa zen, e si mette alla prova la propria capacità di resistenza alla tentazione continuando sì a girare per il centro e a guardare le vetrine, ma ripetendosi nella mente il mantra “non-ho-bisogno-di-nulla-sono-solo-futili-oggetti-e-superficiali-esperienze-inutili-vuoi-mettere-come-è-meglio-guardare-le-nuvole-del-cielo-e-ascoltare-il-canto-dei-passeri-sugli-alberi”, oppure si fa come l’eroina di Sophie Kinsella, e ci si butta nel baratro delle carte di credito, dando fondo a tutte le Visa-Mastercard-American Express che si hanno a disposizione, e poi domani, tornati alla vita reale, si vedrà.
Per fortuna Londra non è casa mia. Per fortuna non ho un appartamento a Soho ma nella grigia periferia genovese. Per fortuna, nella strada in cui abito io, il negozio più attraente di tutti è la bottega di un ferramenta.


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