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Il lavoro più difficile che si può fare in una vita è quello di capire se stessi.
Segue quello che di capire gli altri, di aiutarli, magari in quella fase tanto delicata e complicata come l'adolescenza.
Se sei un volontario all'interno di uno di quei centri che cercano di distrarre, che cercano di tirare fuori da certi adolescenti tutti i traumi che hanno subito, tutte le paure che ancora li attanagliano, e di farglieli superare, le palle (e scusate il francesismo) ce le devi avere grandi così (e sto mimando un vinile).
Perchè qualunque cosa dirai potrà portare quell'adolescente a fidarti o a non fidarti di te, ad amarti o ad odiarti, a chiudersi o ad aprirsi. Tutto va soppesato fino al milligrammo, dalle parole, ai sorrisi.
Lavorare all'interno del Short Term 12 non è facile, quindi.
L'istituto è una casa d'accoglienza ma anche uno stallo, per quei giovani a cui si deve trovare una sistemazione, una famiglia, o che necessitano di cure psicologiche adeguate.
Nel suo primo giorno di lavoro, Nate capisce fin da subito quanto significa il suo ruolo all'interno di quegli spazi, e che sia da recuperare un tentativo di fuga, l'ennesimo, di Sammy, che sia da presentarsi agli altri sbagliando, va da sé, parole trovandosi così aggredito, che sia anche solo sedare, imparare a conoscere quei ragazzi, il lavoro da fare è estenuante, fatto di alti e di bassi
Ma non è lui il protagonista di questo film, Nate è la scusa per farci conoscere e farci capire le regole fondamentali di un luogo che accoglie chi dalle regole e dalle leggi non è stato protetto, o le ha infrante.
I protagonisti sono invece Mason e Grace, coppia di lavoro e nella vita, e se il primo sembra affrontare tutto in modo scanzonato, leggero, senza troppi problemi, l'altra è sì più psicologicamente legata ai ragazzi, ma è anche più silenziosa, più introversa.
Grace si ritrova infatti incinta, e in quella stessa settimana, lo Short Term 12 accoglie una nuova ragazza, Jayden, che come in uno specchio fa rivivere e fa riemergere traumi che la stessa Grace non ha mai seppellito.
Le amorevoli cure di Mason sembrano non bastare, e se lui ce l'ha fatta ad uscire da un passato altrettanto ma in misura diversa problematico, riuscire a far parlare Grace, a farle condividere davvero quello che sente, è un lavoro difficile, che va a mescolarsi con quello all'interno dell'istituto dove a momenti di gioia e di condivisione seguono senza remore drammi e pericoli.
Come nella vita.
E come nella vita il film è narrato con toni leggeri che si alternano ad altri più profondi, senza mai scadere nel "caso umano", in cliché o in scivoloni che ne possano minare la bellezza.
Marcus, così come la stessa Jayden, per esprimere quello che sentono, i loro abusi, non lo fanno attraverso lunghi discorsi che ricercano la lacrima dello spettatore, lo fanno attraverso l'arte, quella del rap l'uno, quella del racconto infantile con tanto di illustrazioni l'altra, arrivando comunque a farla versare, quella lacrima.
Tutto è quindi raccontato in un equilibrio precario ma stabile, che passa dal romanticismo al sangue in pochi secondi, sorretto da un cast strepitoso guidato da quello stropicciato di John Gallagher Jr. già apprezzato in The Newsroom e in Olive Kitteridge, e soprattutto da quella Brie Larson che ha sì il viso che ricorda quello di molte altre colleghe (Julia Stiles, Katie Lowes), ma che qui lascia il segno, per la sua bellezza, fresca e senza filtri, anche.
Presentato in vari festival dove proprio la Larson è stata premiata spesso e volentieri, Short Term 12 è uno di quei film semplice ma complesso, che dallo stile indipendente prende l'ottima fotografia e l'ottima regia di uno come Destin Daniel Cretton che qui esordisce nel lungometraggio.
E come nella vita, il cerchio si chiude lì dove si era iniziato, con un racconto che fa sorridere, ma con più speranza, con più esperienza, con più forza dentro di sé.
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