Ora so fin troppo, ma in realtà non so niente ancora
Trama esile (qualcuno scompare e qualcun altro lo cerca), che si complica appena appena qui e là, ma sempre nel racconto puntuale di cosa è successo a lui, a lei, all’altra, alla mamma e alla zia, al papà e all’amico caro, alla fiancé di una notte e a quella di uno sguardo per tutta la vita.Il racconto. Appunto.
Qui molti raccontano: l’amico, la zia, la mamma, le amiche della mamma.
Molti. Non l’autrice. Che lascia il passo ai personaggi che spiegano e spiegano e spiegano e si fanno domande e si danno risposte, ma le domande sono talmente tante (e retoriche) che spesso di risposte non ce n’è nessuna. L’azione, quando c’è, è filtrata dal racconto-spiegazione di qualcuno che c’era a qualcuno che non c’era. Tra gli altri, tra i “qualcuno” che non c’erano, ci siamo noi, che subiamo e giriamo in fretta le pagine per capire e vedere come va a finire.
Ma niente. Perché, dopo l’amico e la zia che raccontano quello che è successo, c’è la zia (o l’amico) che si domanda che tipo di vita siamo costretti a fare. [cit]Ma costretti da chi? Come fossero le vittime. Ma vittime di che cosa? L’avevano voluta loro una vita simile, o no? Chi aveva premuto, al posto loro, il tasto di non ritorno? E non gli veniva mai in mente che ce n’era un’altra possibile, di vita, diversissima, magari proprio accanto, tra l’altro, a due passi dalla loro? Bastava spostarsi. Perché non lo facevano? Cosa c’era sotto? [/cit]
Eh. Brava. Cosa c’è sotto? Io, per esempio, perché non pianto qui famiglia, figli, marito, cani, lavoro e non mi sposto più in là? Perché? Che domande, eh?
E quando non ci sono le domande, c’è la spiegazione: perché, attenzione, il romanzo è ambientato nel futuro. No, non nel senso che le cose accadano nel futuro, nel senso che chi scrive, ogni tanto, ci spiega (sempre a spiegare) che “allora”, “a quei tempi” succedeva questo e quello: e giù una pagina a dirci che [cit] l’umanità si era convinta che la fitta rete di relazioni interpersonali fosse il fulcro dell’esistenza stessa sulla Terra, che non ci potesse esser miglior modo di vivere che star connessi l’un l’altro sempre, a tutte le ore del giorno, tutti i giorni dell’anno, nonostante le distanze geografiche. Si viveva per connettersi e ci si connetteva per vivere, in un certo senso [/cit], e così via per un’altra intera pagina che spiega (questo narratore del futuro spiega, sempre) che [cit]vennero messi da parte quei puri luoghi dello spirito, della riflessione, ovvero della speculazione squisitamente teoretica che da sempre traggono sempre giovamento proprio da ciò che è opposto all’orgia di relazioni, e cioè dalla solitudine e dall’assenza di ogni contatto che possa interrompere la concentrazione[/cit]. E da qui uno si dice: orpo! Ma sta parlando di noi, 2013, post, link, tweet (sì, cita anche i tweet). Che poi viene da chiedere, al narratore futuro: ma te, stai poi così meglio? Sei perfetto, te che vivi e guardi indietro e disprezzi? Mah. Non si sa: il narratore futuro guarda indietro, disprezza e amen. Amen.
Questo per dire che dopo la duecentesima pagina, ho cominciato a leggere alla velocità della luce, perché volevo sapere dove era Filippo e che c’entravano le pecore, e invece a pagina 259 trovo un’altra pagina in cui mi si dice che Filippo pensava che [cit]quei ragazzi hanno dentro un fuoco che li tiene accesi sempre [/cit] e via un’altra pagina (dal futuro) sui poveretti che (ai nostri tempi) girano col laptop, il Kindle, il cellulare e così via [mode on: disprezz disprezz]. E allora io… via a saltar pagine e a leggere solo l’inizio del paragrafo per capire di che mi si parla (per dire, quando leggo: [cit]il bello è il cielo che ci fa da tetto. D’accordo che è infinito e che si perde nelle buie galassie dell’interspazio. Ma a noi che ce ne importa?[/cit], ecco, appunto. A noi che ce ne importa? E via a saltare la spiegazione di come percepiamo il tetto. Così, finalmente, verso la trecentesima pagina, si comincia a capire il perché e il percome. Sì, c’è ancora la spiegazione di come i genitori percepiscono i figli e di come chi non ha figli percepisce i figli degli altri, e poi [cit] piano piano, ogni cosa tornò al suo posto [cit/].
Ecco, appunto (di nuovo). Ogni cosa torna così al suo posto che a pagina 319,
piccolo spoiler
attenzione, non dico niente ma forse si capisce come finiscono le prediche
tutti tornano o vanno dove vogliono e in due facciate passano mesi e mesi. A pagina 322 è passato un altro anno, a pagina 323 passano in un lampo 15 anni e morti varie, a pagina 325 ne sono passati, a occhio e croce, altri cinquanta, di anni (e morte) e poi altri dieci anni due righe dopo (e morte) e poi cinque o sei pagine di funerale e amen.
Per dire: un bel libro (“un romanzo esuberante”, ehm), scritto bene e corretto, ma già dalla quarta di copertina si capisce che è un predicozzo unico. C’è di peggio, ovvio, ma a due giorni di distanza mi è rimasta solo l’irritazione delle prediche e delle elucubrazioni filosofiche.