Più che a parlarvi, oggi sono qui a segnalarvi un’antica pratica della religione buddista, che ha veramente del macabro e, al tempo stesso, dell’incredibile. Ci sono monaci in Giappone che riescono a spingere quasi oltre il limite umano la negazione della parte fisica del sé, arrivando ad auto-mummificarsi mentre sono ancora in vita.
Si tratta di monaci anziani, seguaci dello Shugendo, un’antica forma di buddismo. Diventare Sokushinbutsu, cioè un asceta che raggiunge la morte in modo da conservare il suo corpo, richiede disciplina e sforzo fisico costante per 3.000 giorni, quasi 9 anni. Il monaco deve passare attraverso 3 fasi di uguale durata, preservare la meditazione e, lentamente, abbandonare il suo corpo.
Centinaia di monaci buddisti hanno provato direttamente su se stessi il dolorosissimo processo dell’auto-mummificazione, ma solamente una ventina, sono riusciti nel loro intento.
D’altro canto, è anche vero che la religione buddista non ha mai dato troppa importanza alle spoglie mortali dell’essere umano, alla materia. La procedura adottata è formata da tre cicli di 1.000 giorni ciascuno, alla fine dei quali giunge la morte e, con essa, la possibile incorruttibilità del corpo.
Nella prima fase il monaco si nutre di piccole quantità di grano saraceno, pasta di noci, nocciole, noce moscata raccolti nella foresta circostante. Questo serve per ridurre la quantità di grasso presente nel corpo, e quindi, ridurre la quantità di materia che prima si decompone in un corpo senza vita.
Nella seconda fase, sempre di 1.000 giorni, il monaco mangia solo corteccia e radici di pino, in modo da diminuire la quantità di acqua presente nel corpo. Verso la fine dei secondi 1.000 giorni, il monaco inizia a bere un infuso contenente succo di urushi o alberi varnish. Questa bevanda, altamente tossica, provoca vomito, sudore e frequente minzione.
All’inizio della terza fase, il monaco si trova quindi altamente disidratato e intossicato. Questo permette la possibile eliminazione di microrganismi che possano corrompere il corpo e accelera la morte. A questo punto il monaco passa alla terza fase. Pronto al decesso, viene chiuso in una cassa di legno e posizionato a tre metri di profondità nel terreno. Una canna di bambù gli fornisce l’aria e, tramite una campanella, egli segnala agli altri monaci di essere ancora in vita.
Quando la campanella non suona più da diverso tempo, il tubo per l’aria viene rimosso e il tutto sigillato per tre anni e tre mesi. Durante il periodo di vita sotterranea, il monaco ha continuato, nel frattempo, a mangiare radici e corteccia di pino e pregare stando nella posizione del loto.
Allo scadere dei tre anni e tre mesi, il tunnel viene riaperto e vengono controllate le spoglie del monaco. Nel caso in cui non vi sia stata corruzione del cadavere, il corpo viene portato in superficie, messo in una teca di vetro e posizionato nel tempio, dove tutti potranno rendergli omaggio. In alcuni casi, il corpo viene dipinto con strati di vernice protettiva che forniscono al cadavere un colorito molto scuro.
Vestito con parametri rosso e oro, il monaco che è diventato Sokushinbutsu, viene venerato perché ha raggiunto lo stato di Buddha. I monaci spesso, scelgono questo lento suicidio per lasciare un oggetto, il loro corpo mummificato, che sia simbolo di rinuncia e stimolo alla meditazione per i fedeli del tempio.
Alla fine del XIX secolo il Giappone ha messo, grazie al cielo, fuori legge questa pratica, perché disumana, anche se pare che alcuni monaci abbiano portato avanti la tradizione fino al secolo scorso. L’ultimo monaco di cui è stato ritrovato il corpo intatto è Tetsumon-Kai, morto nel 1829. Non si sa di preciso quanti siano riusciti a portare a termine il processo di auto-mummificazione.
Per ora sono stati ritrovati 24 monaci nello Yamagata, la regione a nord del Giappone dove si trova il complesso di Dawa Sanzan, i 3 monti sacri dello Shugendo. Credo non ci sia altro da aggiungere, perché in questi casi, le parole vengono meno.
Eppure, se uno pensa di avere fatto tutto questo sforzo e sacrificio, quando una semplice mosca potrebbe corrompere lo stato di conservazione del suo corpo, si rende conto che non vi è limite alla scelleratezza umana.
Written by Cristina Biolcati