Cade il rais, ma la capitale vive momenti di grande sofferenza. C’è molto caos generato da continue raffiche sparate in aria dai ribelli, dalle resistenze dei lealisti e si aggiunge il mosaico di quartieri sicuri e molti invece pericolosi .
La città si sveglia ancora stordita dalla presa di Bab al Aziziya ( la cittadella fortificata del Colonnello) per scoprire , però, che sacche di resistenza delle milizie pro-Gheddafi continuano a sparare e persino a costituire una minaccia. Per la maggioranza degli oltre 2 milioni di abitanti il punto di ritorno è stato già superato da un bel pezzo.
Il Colonnello riesce ancora a farsi sentire , lanciando messaggi audio di sfida aperta alal rivoluzione “Il nostro ritiro da Bab al Aziziya è stato solo un ripiegamento tattico” grida ad alta voce al popolo libico. E torna per l’ennesima volta ad ammantare il suo carisma minaccioso con il fascino di Omar al Mukhtar. Nello storico nemico dell’occupazione coloniale militare italiana in LIbia trova la determinazione a non arrendersi. Il suo è un appello alla resistenza e al combattimento fino alla fine “Vittoria o martirio” inneggia ai suoi fedelissimi che ancora combattono.
Gheddafi vuole convincere i suoi cittadini che i ribelli sono lontani dalla vittoria e anche al controllo totale della capitale. Ma che ci sarebbe spazio ad una vittoria. Anche sua figlia Aisha si fa sentire con la Nato e in un messaggio audio se la prende con la Nato e il colonialismo straniero. Mussa Ibrahim, il volto più noto del regime, afferma che colonne di miliziani starebbero arrivando da Sirte per rilanciare lo scontro nella capitale.
A loro risponde il leader del Consiglio transitorio Mustafa Abdel Jalil , che rilancia la caccia al Colonnello promettendo una taglia di 1,6 milioni di dollari a chi collabori a prenderlo vivo o morto. Il comunicato si prefigge sia indirizzato ai fedelissimi “Se ci aiutate a prenderlo , ci sarà l’amnistia”.
A Bab al Aziziya i cecchini sparano a chi si avvicina. Alcuni quartieri della capitale sono contesi . Abu Salim , il quartiere dove si trova la prigione che nel 1996 fu teatro dell’eccidio di 1200 detenuti e l’inizio della rivoluzione del 17 febbraio, resta luogo di feroci combattimenti. I civili sono difficili da incontrare nelle strade. I negozi rimangono chiusi. Ragazzini, neanche quindicenni, brandiscono kalashnikov come fossero racchette da tennis. File kilometriche per comprare bottigliette d’acqua.
L’acqua che esce dai rubinetti è un rigagnolo di liquami sabbiosi e puzzolenti. La corrente torna per poche ore. A volte si pensa che sia il fuoco amico ad uccidere fantasmi nell’ombra, per poi scoprire compagno d’armi o civile di passaggio. Fonti ospedaliere segnalano 400 morti e 2 mila feriti in tre giorni di combattimenti. Mancano , comunque, dati ufficiali.